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guerra ucraina russia
Forse dovremmo proporre una moratoria sull’emotività e chiedere a tutti, o meglio, pretendere da tutti - analisti, giornalisti, e politici - un atteggiamento più razionale. Che la guerra smuova e rivolti le viscere di ciascuno di noi è una cosa comprensibile, eppure quel che manca in questo momento è l’opposto della visceralità, ovvero la razionalità. Ecco, dovremmo chiedere a tutti di smetterla di far vibrare le coscienze; quel che dovremmo far vibrare in questo momento non è il “cuore”, ma i neuroni. Anche perché, lasciatecelo dire, chi mira al cuore vuol soltanto delimitare il proprio recinto ideale e riaffermare i propri “irrinunciabili valori”. La qual cosa ha un tratto “autistico” e autoreferenziale: chi considera sacri e inviolabili i propri valori, difficilmente sarà disposto a spostarsi verso i confini ignoti dei valori altrui, eppure è quello il crocevia in cui si cela la verità. E dovremmo pretendere la moratoria dell’emotività prima di tutto dai politici. Da Letta, per esempio, che appena qualche giorno fa ha riempito la sua intervista di aggettivi altisonanti (ignominioso, indegno, imbarazzante), segno tangibile di chiusura e autoreferenzialità. Un linguaggio impolitico, il suo, un'operazione che non mira a offrire soluzioni ma a delimitare il proprio campo di appartenenza ideale. Così come è del tutto impolitica l'uscita dell'ex premier Conte che ora si dice indisponibile a inviare nuove armi a Kiev. Ma Conte sa bene che fermare l’invio di armi italiane non solo non ha alcun effetto concreto sulla guerra, ma esclude l'Italia da qualsiasi possibilità di poter influire sulle scelte future della Nato. Insomma, Conte, così come Salvini e molti altri, sembra più interessato ad assecondare l’istinto dei propri elettori in fuga - molti dei quali “visceralmente” antiatlantisti - piuttosto che a disinnescare questa guerra. Perché è lì che guardano: alla ricerca del consenso facile e non alle macerie delle case di Mariupol rase al suolo dai missili russi.