Giovanni Pellegrino, avvocato e senatore del Pci prima e dei Ds poi, osserva con attenzione e distacco quanto accade in politica. È stato anche presidente della Commissione stragi. «Alla mia esperienza parlamentare – dice – ho dedicato un libro, intitolato “Dieci anni di solitudine”. Sono stati anni vissuti in solitudine soprattutto sui problemi della giustizia. Il mio rammarico riguarda il fatto che in politica non c’è niente di più triste che avere ragione in ritardo».

Avvocato Pellegrino, in Parlamento maggioranza e opposizione sono divise su tutto. Difficile fare le riforme che richiede il Paese senza concordia e collaborazione?

Sì, è molto difficile, soprattutto se sono riforme riguardanti la legge fondamentale, la Costituzione. Perché nasca una riforma costituzionale occorre lo stesso spirito dei Costituenti. Ai miei tempi ci abbiamo provato tante volte, penso all’esperienza con Massimo D’Alema, ma dimentichiamo neppure il tentativo fatto da Matteo Renzi. L’atmosfera costituente, utile per interventi molto importanti, non si è creata e, di conseguenza, non è stato possibile realizzare la riforma costituzionale.

Le manca la politica attiva?

No, non mi manca affatto. Ad un certo punto mi è sembrato giusto farmi da parte. L’ho fatto senza rimpianti, contento di essere ritornato in una dimensione privata. Sono ritornato a fare l’avvocato. Mi ritengo un “vecchio” avvocato e ora collaboro molto con i miei figli che hanno studio a Roma e a Lecce.

Il ministro della giustizia, Carlo Nordio, potrà realizzare le riforme che ha promesso?

È molto difficile. Conosco bene il ministro Nordio e lo stimo. È stato consulente della Commissione stragi, quando io la presiedevo. È un magistrato preparato, di spirito sufficientemente liberale, essendosi formato soprattutto come pubblico ministero, perplesso rispetto ad alcuni eccessi del giustizialismo che non ha mai condiviso. Fare le riforme nella giustizia però è complicato. La principale riforma che Nordio ha in mente di fare, quella in materia di separazione delle carriere, richiede un intervento a livello costituzionale. Accusa e difesa possono diventare cose separate, ma è necessario, in un Paese come l’Italia, che la funzione dell’accusa non sia assorbita o subordinata all’esecutivo. Per fare questo è necessario dare anche ai pubblici ministeri separati la garanzia dell’indipendenza e dell’autogoverno. Bisognerebbe pensare ad una riforma del Consiglio superiore della magistratura oppure creare due Consigli o ancora articolare un unico Consiglio in due sezioni.

La separazione delle carriere è un obiettivo alla portata di questa legislatura?

Nell’attuale fase politica non credo proprio. La maggioranza e l’opposizione non si parlano. Assistiamo ad una maggioranza che vuole occupare tutte le caselle, senza lasciare alcuno spazio all’opposizione. Per avere delle riforme dovremmo essere un Paese in cui è presente un bipolarismo maturo. Questo è un obiettivo che la mia generazione politica avrebbe dovuto raggiungere, ma invece ha fallito. È un mio grande cruccio. La mia generazione politica è stata sconfitta, perché non è riuscita a creare, dopo il crollo della Prima repubblica, un sistema bipolare tale da aprire una nuova fase. È stata una sconfitta a cui la sinistra ha collaborato.

Il parlamentare di Azione, Enrico Cosa, è il primo firmatario di un emendamento che vieta la pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare e che mette mano all’articolo 114 del Codice di procedura penale. Da una parte della magistratura e del giornalismo si sono alzate diverse proteste. Cosa ne pensa?

Secondo me, si tratta di un allarmismo giustificato. Privare un soggetto della libertà personale è un vulnus grave e le motivazioni del perché quel provvedimento così restrittivo viene adottato devono essere conoscibili. Per questo anche la condanna, sia pur di primo grado, deve essere conosciuta. Potremmo mai avere una condanna di primo grado senza motivazioni o una motivazione segreta, conoscibile solo nel giudizio di appello?

A sinistra non sono mancate e non mancano pulsioni giustizialiste. È avvenuto anche quando lei ricopriva ruoli di primo piano in politica e nelle istituzioni. Si è trovato a disagio per queste posizioni?

Mi sono trovato completamente isolato. Ho dedicato alla mia esperienza politica un recente libro, intitolato “Dieci anni di solitudine”. Sono stati appunto dieci anni di solitudine, vissuti in Parlamento, che si sono accentuati soprattutto sui problemi della giustizia. Il mio rammarico riguarda il fatto che in politica non c’è niente di più triste che avere ragione in ritardo. Io sui temi della giustizia, rispetto alle posizioni del mio partito, ho avuto ragione, ma in ritardo. All’epoca non mi seguiva quasi nessuno. Dopo molto tempo, la “via di Damasco” si è riempita di penitenti. Anni fa, invece, le mie idee sembravano eresie.

Secondo lei, l’abbraccio del M5S al Pd sarà una sferzata di energia o sarà mortale?

Non saprei rispondere. Sull’attualità faccio fatica a pronunciarmi, in quanto per me è difficile orientarmi. Il M5S è difficile da decifrare. Cos’è? È solo un movimento? È un non partito? Io ho nostalgia dei vecchi partiti. Quando abbiamo abolito il finanziamento pubblico, i partiti sono quasi scomparsi. Sono diventati poco più che comitati elettorali. Questo è un grosso problema per la democrazia. Se ci fosse saggezza, si comincerebbe innanzitutto a riformare la legge elettorale. La vecchia legge sul Senato e la vecchia legge sulle amministrazioni provinciali erano buone con schemi che potrebbero essere ripresi. Le oligarchie che sono al vertice della politica perderebbero però gran parte del loro potere. È difficile, quindi, che si auto-riformino anche se una riforma a tal riguardo gioverebbe molto all’Italia.

Lei ha presieduto la “Commissione stragi”. È stata fatta definitivamente chiarezza su alcune pagine drammatiche della nostra storia repubblicana?

Secondo me, per quanto riguarda le stragi del periodo 1969-1974, sì. L’origine è tutta nel fatto in quella “guerra mondiale a bassa intensità”, che fu la guerra fredda, noi che avevamo scelto il campo occidentale vedemmo le due organizzazioni neofasciste, Avanguardia nazionale e Ordine nuovo, a destra del Movimento sociale, come formazioni irregolari nella lotta al comunismo. A un certo punto, in quel mondo, nacque la strategia della tensione per spostare a destra l’asse politico italiano. Ma il fenomeno sfuggì di mano con la strage di Piazza Fontana, dove si discusse su un errore del posizionamento del timer. La bomba doveva esplodere a banca chiusa. Si verificò il contrario. Grazie ad Aldo Moro, fu impedito a Saragat e Rumor di dichiarare lo stato di emergenza. La manovalanza neofascista si sentì tradita e le stragi successive, come Brescia e l’Italicus, furono tutte di tipo reattivo da parte della destra. Ustica per me resta un grande mistero. Su Bologna continuo ad avere qualche dubbio, nel senso che non credo che sia stato un remake di Piazza Fontana. Probabilmente, si trattava di una lotta tutta interna alla P2 con Pazienza che sostituiva Gelli avvalendosi di manovalanza fascista. In sede storica i fatti ai quali ho fatto riferimento sono stati abbastanza accertati. Non possiamo dire la stessa cosa in sede politica. Si utilizza ancora la storia come un bastone nei confronti degli avversari.