L’economista Leonardo Becchetti «assolutamente necessario» un accordo in sede europea sul nuovo patto di Stabilità e sulla riserva con cui la Commissione ha accolto la manovra italiana spiega che «in questo momento è la Francia, non l’Italia o altri, a essere più in difficoltà, e questo ci aiuta perché sono loro, non noi, a essere più esposti».

Professor Becchetti, sulla manovra l'Italia ha ottenuto il sì da parte della Commissione europea ma con riserva, Pensa che l'Italia rischia la procedura d’infrazione per deficit eccessivo nel 2024?

Non è da escludere, ma alla fine non penso che accadrà. Fino a qualche anno fa i paesi a più alto debito erano l’Italia, la Spagna, la Grecia mentre oggi anche paesi come la Francia hanno un alto indebitamento. Questo ha spostato l’asse della bilancia e dal nostro punto di vista è un vantaggio. In questo momento è la Francia, non l’Italia o altri, a essere più in difficoltà e questo ci aiuta perché sono loro, non noi, a essere più esposti.

Legato al deficit è anche il nuovo patto di stabilità, che all’Italia non piace. Pensa che i 27 arriveranno a un accordo sulle nuove regole comuni dopo la tempesta di pandemia e guerra?

Non solo è possibile ma assolutamente necessario. Non si può tornare alla fase del fiscal compact, che ha portato effetti recessivi in tutta Europa. Occorre considerare come investimenti, e quindi scorporarle dal rapporto detto pil, alcune spese, soprattutto quelle legate alla transizione energetica. Tornare al passato sarebbe sbagliato dal punto di vista macroeconomico. Siamo sotto attacco della concorrenza cinese e americana e l’Europa può difendersi grazie a potenzialità enormi, ma ora serve una politica fiscale comune.

Il governo non nasconde il legame tra Patto di stabilità e Mes, lasciando intendere che ratificherà il secondo solo dopo l’accordo in sede Ue sulle nuove regole: pensa che sia un approccio rischioso nei confronti delle istituzioni comunitarie o rientra nella necessità di “battere i pugni sul tavolo” per ottenere quanto desiderato?

Questa strategia si è risolta in un vantaggio per noi. Perché in effetti ci possiamo giocare la carta del Mes per spingere nella direzione dell’accordo che preferiamo. Cioè di una terza via che non sia né il fiscal compact del passato né il Pnrr. Nel senso che la stagione del Pnrr è stata eccezionale e il denaro messo a disposizione dalla commissione in quel periodo è stato finanziato con strumenti di debito. Di conseguenza, paesi come l’Italia hanno avuto a disposizione quasi 200 miliardi in un momento in cui, se avessimo agito da soli, non avremmo avuto una lira. L’Europa ha dimostrato di esserci sia con l’acquisto dei titoli sia con il Pnrr. Ma anche con una rigorosa rendicontazione che spiega perché non riusciamo a spendere tutti i soldi; un bene per gli italiani, visto sarebbero soldi che andrebbero sprecati.

Crede quindi che l’Italia non riuscirà a spendere tutti i soldi che arrivano dall’Ue?

La coperta corta, cioè la manovra, è corta, ma l’armadio è pieno di trapunte.. Nel senso che i soldi che non stiamo spendendo tra Pnrr e Repower Ue sono linee di finanziamento importanti e occasioni perse. Quindi dovremmo concentrarci su come spendere quei fondi e non soffermarci sul fatto che, genericamente “non abbiamo soldi”. Li abbiamo, ma essi devono essere vincolati a dei progetti ben definiti e realizzabili.

Tornando alla manovra, negli scorsi giorni è arrivato anche il parere di alcune agenzie di rating, da ultimo Moody's, che non ha diminuito l’outlook del nostro paese, e questo ha favorito un calo dello spread. Segnale rassicurante in vista del futuro o non sufficiente a dormire sonni tranquilli?

Le difficoltà che avremo sono legati ai tassi alti e al fatto che la Bce non compra più i nostri titoli di Stato come ai tempi del Quantitative easing. Siamo in una strada in salita, dunque, ma stiamo affrontando questa salita con prudenza. Dobbiamo porci dei limiti, in primis non dobbiamo esagerare nel rapporto deficit Pil. E bisogna insistere su alcuni temi: la sanità, ad esempio, è importantissima, ma possiamo intervenire anche con gli strumenti del Pnrr. Lo stesso discorso vale per l’alta velocità la digitalizzazione e altro.

A proposito di Pil, le stime per il nostro paese sono in calo rispetto a inizio anno: teme la cosiddetta “crescita zero” o pensa che il nostro paese abbia le carte in regola per invertire il trend?

Le aziende italiane sono molto competitive e hanno possibilità di trovare spostare i rapporti con i committenti da paesi come la Germania, dove le cose non vanno bene, con altre parti del mondo. Quindi sono ottimista. Tuttavia lo sarei di più se negli scorsi decenni avessimo accelerato con la transizione ecologica. Dipendiamo molto dalle fonti fossili e vediamo che paesi come la Francia, che non dipende dai fossili, hanno un'inflazione molto più bassa della nostra.

Da questo punto di vista ieri l’Ue ha approvato i decreti attrattivi sulle comunità energetiche: è un fatto positivo?

Assolutamente sì. Parliamo di 6 miliardi di incentivi, in parte collegati al Pnrr e in parte sbloccati da fondi Ue, che saranno importanti per accelerare sulla via della transizione energetica. Una transizione che stanno facendo soprattutto gli italiani mettendo pannelli fotovoltaici sui tetti, mentre sulla parte di autorizzazione dei grandi progetti facciamo ancora un po’ fatica.