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È molto istruttivo leggere le requisitorie o le interviste del dottor Di Matteo, ex Pm palermitano ora passato alla Procura nazionale antimafia. Raramente ci si trovano elementi interessanti dal punto di vista giuridico, ma sono affascinanti le sue teorie politiche o le sue ricostruzioni storiche, sempre molto fantasiose e impreviste. La mafia e il Cav: furono loro i mandanti di Di Pietro e Davigo!
L’ultima fatica di Di Matteo è stata la requisitoria pronunciata un paio di giorni fa al famoso processo sulla trattativa stato- mafia. I giornali non ne hanno parlato molto, perché ormai, in realtà, hanno capito un po’ tutti che questa storia della trattativa non sta in piedi. In effetti, nella requisitoria, della trattativa si è parlato poco poco, perché i Pm in tutti questi anni non sono riusciti a trovare uno straccio di prova, e poi perché la maggior parte degli imputati è stata già assolta in vari stralci del processo condotti col rito abbreviato.
Di Matteo però si è concentrato su una storia parallela all’ ipotetica e improbabile trattativa: la storia della nascita di Forza Italia, e in particolare del ruolo svolto da Marcello Dell’Utri. Probabilmente perché, date le ultime vicende ( il rifiuto da parte del tribunale di sorveglianza della scarcerazione di Dell’Utri per ragioni di salute) Di Matteo ha intuito che il tema avrebbe potuto incontrare l’interesse della stampa, al quale lui non è mai del tutto indifferente.
In effetti Il Fatto Quotidiano gli ha concesso un discreto spazio. Con un bel titolo in prima pagina e un titolo ancora più forte in pagina interna. Il titolo di prima dice: « Dopo Capaci, Riina puntò su Dell’Utri e B. ». Il titolo interno dice: « Dell’Utri andò dai boss prima di fare Forza Italia ».
Il racconto di Di Matteo è molto articolato, però è costruito su terribili pasticci di date, e questi pasticci producono effetti davvero strabilianti. E cioè accreditano una ipotesi un po’ grottesca, che è quella contenuta nel titolo di questo articolo: e cioè l’ipotesi che Riina e Berlusconi siano i mandati dell’inchiesta “Mani Pulite” che spazzò via la prima Repubblica.
Seguiamo il racconto di Di Matteo. Primo capitolo: attentati della mafia alla Standa di Catania. La Standa apparteneva a Berlusconi. Siamo nel 1990, quasi quattro anni prima della fondazione di Forza Italia. Secondo Di Matteo, dopo gli attentati, Berlusconi mandò Dell’Utri a Catania per trattare con la mafia affinché smettesse di colpire la Standa. Per dimostrare questa sua tesi, Di Matteo non si limita a citare un paio di pentiti ( non dei maggiori e comunque senza alcun riscontro) ma cita la famosa intercettazione realizzata nel 2013, nella quale Totò Riina, parlando con un infiltrato al 41 bis, dice tra l’altro che dopo l’attentato qualcuno ( probabilmente Berlusconi) « mandò a quello di Palermo che parlò con uno e si mise d’accordo... questo senatore però poi finì in galera…» . Di Matteo ha commentato: « Lascio a voi capire chi è il senatore che scese e poi finì in galera ».
Qui si pone un primo problema di date. Perché l’intercettazione di Riina è dell’agosto del 2013, come dicevamo, mentre Dell’Utri finisce in prigione nell’aprile del 2014. Riina aveva la palla di vetro? Potrebbe, in via teorica, esserci una spiegazione, ma non regge molto: in realtà Dell’Utri nel 1995 andò in prigione per qualche giorno per una storia, credo, di falsi in bilancio. Molto improbabile che Riina si riferisse a quell’episodio, poco conosciuto e brevissimo, ma diamolo per buono.
Secondo capitolo. Di Matteo racconta il Fatto Quotidiano, che è considerato il giornale di famiglia del Pm - sostiene che il primo contatto di Cosa Nostra con Dell’Utri, dopo Lima, « arriva da Catania, con gli attentati alla Standa, e gli incendi furono decisi dai corleonesi, e fu deliberato di attaccare la Standa per assoggettare Berlusconi e realizzare un nuovo progetto politico ». Nasce così Forza Italia, destinata a sostituire la Dc travolta dalla fine della prima Repubblica. Dunque Berlusconi non mandò Dell’Utri per far finire gli attentati, ma per fondare un partito.
Qui però c’è un nuovo inguacchio di date. Gli attentati alla Standa avvennero due anni prima del delitto Lima, non dopo. E immaginare che la mafia nel 1990 avesse in mente di sostituire la Dc con Berlusconi è davvero un’impresa difficile, persino per una persona convincente come Di Matteo. Nel 1990 la Dc era ancora fortissima in sella, e il suo declino era assolutamente inimmaginabile.
Ma ammettiamo pure che i pasticci di date che rendono molto poco credibile tutta la requisitoria siano semplici incidenti tecnici. Ok. Dunque la mafia e Dell’Utri e Berlusconi nel 1990 e poi “ con le riunioni della cupola dell’autunno del 91 che conducono alla formazione di Forza Italia” ( cito sempre “Il Fatto”) stabiliscono che è ora di far fuori la Dc. Ma a chi affidano il compito? Chi è che poi, concretamente, si incarica di eliminare la Dc e di radere al suolo la sua Prima Repubblica? Beh, questa risposta è facile: il pool dei magistrati milanesi guidati da Di Pietro e Davigo.
Dunque torna la teoria del complotto, che fin qui era stata una esclusiva di qualche ambiente socialista. I socialisti però hanno sempre puntato il dito sugli americani. Ora invece, clamorosamente, si rovescia tutto: Di Pietro e Davigo erano uno strumento nelle mani dei corleonesi, di Dell’Utri e di Berlusconi. E per conto loro agirono aprendo la strada al successo elettorale del cavaliere del 1994.
Tutto questo, naturalmente, non ha niente a che vedere con l’ipotesi di una trattativa tra Stato ( all’epoca guidato dalla Dc) e mafia, che dovrebbe in realtà essere l’oggetto del processo. Anzi, è una ricostruzione storica che smonta alla radice l’ipotesi della trattativa. La mafia, secondo Di Matteo, se ne fregava della Dc perché stava tramando per andare al potere con Forza Italia, e dunque non aveva nessuna ragione per trattare con la Dc che considerava in estinzione.
E dunque? Non so, le conclusioni le lascio a voi. Anche perché il dottor Di Matteo, nella sua requisitoria, si è lanciato in un ivettiva contro i giornali “di nicchia” che lo criticano e lo delegittimano. Chiarendo qual è la sua idea “imperiale” sul ruolo e i diritti della magistratura: unica istituzione autorizzata a sfuggire al diritto di critica dei giornali. Persino di quelli di nicchia...