«Con la normativa attuale sono pochi i politici, per quanto onesti, che possano dormire sonni davvero tranquilli», afferma l'avvocato Luca Fanfani, esperto di reati contro la pubblica amministrazione, che ha contribuito a curare il volume appena uscito per Giuffrè Delitti di Corruzione. Il sistema integrato di prevenzione e contrasto.

Avvocato Fanfani, l'eliminazione del finanziamento pubblico insieme alla incriminazione della corruzione per generico asservimento della funzione, hanno creato le condizioni per cui pressoché ogni politico eletto finanziato da privati possa trovarsi nella condizione del governatore della Liguria Giovanni Toti.

È così. O si torna al finanziamento pubblico o si prevede una norma penale ad hoc per il pubblico ufficiale che ricopre un incarico elettivo poiché a lui spetta reperire non solo il consenso dai privati ma anche risorse economiche, con i rapporti che ne conseguono.

C'è molta ipocrisia sul punto.

Smettiamo di fare le vergini stupefatte, oggi è la norma che impone al politico di chiedere non solo voti ma anche quattrini e quindi di essere riconoscente all'imprenditore di turno e lo rende per ciò stesso incriminabile.

Nel libro un capitolo è dedicato proprio a questo aspetto.

Si, il rapporto tra corruzione e attività politica è molto delicato. Non tutti sembrano avere ancora piena consapevolezza che le sole relazioni politico- privato ben possono bastare per ritrovarsi indagati o perfino arrestati per corruzione.

Ci spieghi il motivo di questo cortocircuito.

È dovuto a due scelte normative. La prima è la legge Severino del 2012 che, nell’ottica di sanzionare penalmente ogni episodio di corruzione pulviscolare, ha introdotte fattispecie di portata applicativa amplissima, con una soglia di sensibilità tanto alta, quanto esiguo è il coefficiente di specificità. Si pensi alla corruzione per asservimento della funzione, che ha recepito uno dei capisaldi maggiormente criticati delle proposte avanzate dal Pool milanese nel 1994, incentrata sulla violazione di un generico «dovere di fedeltà», che in un diritto penale del fatto non dovrebbe assumere rilevanza di per sé solo. Si tratta di una sorta di foglio bianco da riempire a piacimento, che nei fatti rimette alla magistratura penale l’individuazione, di volta in volta, del perimetro della fattispecie.

L'altra?

L’abolizione del finanziamento pubblico diretto della politica nel 2014 e il conseguente passaggio a un sistema di finanziamento esclusivamente privatistico dei candidati e dei partiti. Dopo di allora è divenuto necessario per questi soggetti pubblici non solo il reperimento di consenso presso privati ma anche il reperimento di risorse economiche sempre dai soggetti privati.

Nel libro lei è molto critico al riguardo.

Si, come ho detto è oltremodo ipocrita costringere da un lato un’intera classe politica ad un sostentamento squisitamente privatistico, per poi scandalizzarsi ogni qual volta le inchieste giudiziarie fanno emergere che le erogazioni “liberali” degli imprenditori alla politica raramente sono vestite solo di nobili ideali.

E poi arrivano i pm...

Si, ma è impensabile continuare a rimettere alla magistratura l’individuazione dell’etereo confine fra il fisiologico ' debito di riconoscenza' che ogni politico ha verso i propri finanziatori, e ' l’illecito asservimento' agli interessi di costoro.

Soluzioni?

Dipende dagli obiettivi. Se si vogliono cacciare i mercanti, perlomeno i più spregiudicati, dal tempio della politica, non v’è dubbio che la strada maestra sia il ripristino del troppo vituperato finanziamento pubblico ai partiti. Diversamente, occorre prendere atto che la macchina politica, la stessa democrazia, hanno un costo, e se proprio non si vuole che sia lo Stato a farsene carico, occorre accettare che imprese e gruppi portatori di interessi finanzino e per tale via concorrano al governo dell’attività politica assieme ai partiti, come avviene negli Stati Uniti.

Andrebbe comunque valutata la possibilità di bilanciare il divieto di finanziamento pubblico ai partiti, con l’introduzione di uno statuto penale differenziato per la corruzione dei titolari di un incarico elettivo, come peraltro avviene già, per via normativa o giurisprudenziale, in alcuni ordinamenti stranieri. Una nuova, autonoma, fattispecie di corruzione in ambito politico, che tenga conto delle specificità proprie delle funzioni attribuite a quella peculiare categoria di agenti pubblici che svolgono un incarico politico elettivo e sono, per ciò stesso, indotti dallo Stato a relazionarsi con i privati non più solo per ottenere voti ma anche denari, molti denari, per il funzionamento della macchina politica; con ciò che inevitabilmente ne consegue.

Ci sono spazi per una riforma del genere?

Non faccio il legislatore. Però non è pensabile che il politico, spinto a mantenere relazioni con soggetti finanziatori del proprio partito o della propria campagna elettorale, rischi di essere etichettato per ciò solo come ' asservito' e quindi corrotto.