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ALFREDO BAZZOLI SENATORE
Senatore Alfredo Bazoli, componente, per il Pd, della commissione Giustizia di Palazzo Madama, il viceministro Sisto, nell’intervista al Dubbio di ieri, ha detto che, per la riforma sulla separazione delle carriere, ci sono due soluzioni: fissare l’approdo in Aula senza mandato al relatore o stabilire una quota di ore da riservare all’esame degli emendamenti, dopodiché in Aula ci si va comunque. Cosa ne pensa?
Mi viene da sorridere. Noi stiamo parlando di una riforma costituzionale che interviene su un aspetto delicatissimo della nostra Costituzione, ossia la magistratura. Si tratta di un disegno di legge di iniziativa governativa, che la maggioranza pretende di far passare senza neanche un emendamento di maggioranza o di minoranza. E in più vorrebbero anche imporre un contingentamento dei tempi per l’esame in commissione oppure andare in Aula senza aver conferito il mandato al relatore. Si tratta di una modalità mai praticata nella storia della Repubblica rispetto a una riforma costituzionale. Tutto questo è una grave provocazione da parte della maggioranza.
Il viceministro tuttavia sostiene che è proprio il regolamento parlamentare a consentire questa possibilità.
Ma che cosa vuol dire? Ripeto: stiamo parlando di una riforma costituzionale. Non è mai accaduto nella storia di questo Paese che si facesse una riforma così impegnativa della nostra Costituzione senza interloquire con le opposizioni. Sarebbe inaccettabile andare in Aula senza il dibattito in commissione. In più si creerebbe un precedente che rischia di fare scuola. Chiunque in futuro avrà una maggioranza parlamentare, e un governo deciso a fare una riforma della Costituzione, procederà nello stesso modo: scriverà una riforma della Carta, la imporrà al Parlamento, sfruttando le possibilità regolamentari e impedendo, di fatto, un confronto, per poi cercare il plebiscito popolare nel referendum.
Il ministro Nordio ha dichiarato: «La separazione delle carriere va avanti con molta fatica perché i regolamenti sono vecchi, antichi e antiquati e prevedono una serie di step incompatibili con l’organizzazione moderna della società. Però ci sono e vanno rispettati».
Il ministro conferma l’allergia del governo al ruolo del Parlamento, quasi un fastidio per una funzione considerata come una perdita di tempo anziché l’esercizio della democrazia.
Sempre Sisto ha sostenuto che diversi esponenti delle opposizioni hanno spiegato le loro proposte come il più classico degli ostruzionismi.
Non è così. Noi abbiamo presentato tanti emendamenti perché è l’unica possibilità che abbiamo per un confronto con la maggioranza su questo tema, in quanto, ripeto, siamo dinanzi a una riforma sulla quale non c’è stata alcuna interlocuzione. Quindi respingo questa lettura e aggiungo, invece, che tutto quanto sta accadendo tra Camera e Senato è figlio della protervia della maggioranza, che pretende di cambiare la Costituzione senza un’interazione con le forze di minoranza, come sempre accaduto in passato. Oggi invece assistiamo a una prova muscolare su un tema così delicato come l’equilibrio tra i poteri dello Stato: tutto questo è francamente inaccettabile.
Dietro i 1.300 emendamenti c’è anche, da parte vostra, la volontà di procrastinare al massimo il dibattito e arrivare al referendum a meno di un anno dalle Politiche, in un momento cui il consenso verso il governo cala fisiologicamente?
Noi non facciamo calcoli rispetto alle tempistiche. Noi vogliamo semplicemente che vengano salvaguardate le prerogative del Parlamento rispetto a una forzatura mai vista da parte di chi ha vinto le elezioni.
Negli ultimi mesi si è parlato di magistratura engagé dalla politica: basti pensare alle polemiche per l’intervento dell’ex presidente Anm Albamonte in un vostro circolo romano a parlare di separazione. Non c’è il rischio che una campagna referendaria condotta insieme da partiti come il Pd ed esponenti dell’Anm esponga la magistratura all’accusa di essere politicizzata, tanto da condizionare il giudizio dei cittadini?
I magistrati faranno il loro percorso, il Partito democratico e le opposizioni il loro. Quando si avvierà la campagna referendaria, sarà necessario far capire ai cittadini italiani qual è la posta in gioco di questo referendum.
Sarebbe?
Il tema non è tanto e solo la separazione delle carriere, ma la salvaguardia della separazione dei poteri su cui si fonda lo Stato di diritto. Questa riforma si colloca dentro un contesto nel quale oggi, in tante democrazie liberali e occidentali, vediamo che lo Stato di diritto è messo fortemente in discussione da molti governi, che attaccano libertà e indipendenza di magistratura e avvocatura, mostrando uno spirito autoritario e illiberale. Basta guardare cosa succede negli Stati Uniti. L’Italia purtroppo non è affatto estranea a questo clima, e dobbiamo sapere che approvare questa riforma significa prendere quella direzione.
Giovedì la Consulta ha sdoganato l’abrogazione dell’abuso d’ufficio. La segreteria del Pd aveva contestato quel provvedimento. Avevate torto?
La Consulta non giudica sulla bontà o meno dell’abrogazione. La Consulta ha detto, da quello che possiamo intuire in attesa di leggere la sentenza, che l’abrogazione dell’abuso d’ufficio non lede i principi contenuti nella Convenzione di Merida. Noi ovviamente prendiamo atto di questa decisione della Corte, tuttavia questo non sposta molto i termini del problema. Noi continuiamo a ritenere che l’abrogazione tout court del reato di abuso d’ufficio sia stata un errore, una scelta inopportuna, perché comunque lascia un vuoto normativo e toglie presìdi di legalità e di controllo all’interno della pubblica amministrazione.
A proposito di pubblica amministrazione: nel caso in cui governo e maggioranza presentassero una norma di interpretazione autentica sul limite dei 45 giorni per le intercettazioni, voi parlereste di allentamento della lotta alla corruzione?
Qualsiasi iniziativa finalizzata a estendere ulteriormente la portata di quella riforma sarebbe per noi criticabile perché andrebbe nella direzione di limitare eccessivamente l’utilizzo di quello strumento d’indagine, come abbiamo sempre detto. Termini ridottissimi per lo strumento investigativo rischierebbero seriamente di pregiudicare le indagini sui reati contro la pubblica amministrazione, quindi.