Nel giugno del 1942 – secondo anno di guerra per gli italiani - avevo 17 anni. Vivevo con i miei genitori in una Milano irriconoscibile, con gli ingressi delle case contrassegnati da cartelli che indicavano la presenza di un rifugio antiaereo ed il numero di posti disponibili; con alcuni edifici sventrati dai primi bombardamenti, i vetri rotti; con la gente che di giorno aveva il viso stravolto di chi non ha dormito a sufficienza, perché la notte scendeva più volte in cantina quando l’allarme segnalava l’avvistamento di aerei. Spesso erano ricognitori inglesi che arrivavano ogni notte, precisi nell’orario al punto che alcuni milanesi scendevano prima di sentire l’allarme, tanto abituali nelle visite notturne che li chiamavamo “Pippo”, come se fosse uno solo, sempre lo stesso, e venisse a farci visita da amico.Ma a volte l’allarme suonava e non era un ricognitore, non era il solito Pippo: e piovevano bombe, grandi e piccole, alcune di una varietà temutissima, che si frazionava allo scoppio, e lasciava sul terreno brandelli d’acciaio roventi, capaci di ferite profonde.Continuò così, con la paura e il poco cibo, la dipendenza dalla carta annonaria: cento grammi di pane al giorno (ed era più segatura che farina), poco zucchero solo ai minori di 18 anni ed ai sessantenni; niente caffè, la carne solo quando arrivava, provocando lunghe code di affamati impazienti e litigiosi; frutta e verdura solo per chi aveva parenti in campagna, o qualche stenta foglia coltivata nell’orto di guerra, in bidoni arrugginiti o cassette di legno muffo su balconi e terrazze.In quel clima abbiamo resistito in città fino al pesante bombardamento del 24 ottobre 1942, quando le bombe arrivarono improvvisamente di giorno, pochi minuti prima delle 18, mentre tutti erano intenti al lavoro o allo studio, colpirono molte case anche in centro, e demolirono il muro del carcere di San Vittore provocando la fuga di molti detenuti. Più tardi, alla luce degli incendi provocati dal primo attacco, altre due volte i bombardieri scaricarono tonnellate di ordigni d’ogni calibro. Fu allora che molte famiglie decisero di lasciare la città e di trasferirsi in luoghi presumibilmente più sicuri perché privi di costruzioni e strutture importanti: e noi facemmo lo stesso.Sotto le bombe e in compagnia di privazioni d’ogni tipo, avevo dato a giugno l’esame di maturità classica. Quando non c’erano i computers e non tutti si potevano permettere una Olivetti, si scriveva a mano con penna, inchiostro e calamaio (le “biro” arrivarono con i militari americani molto più tardi); all’epoca chi scriveva in un italiano corretto era definito “una buona penna”, ed io ero ritenuta una delle migliori penne del liceo classico Manzoni. Fui bocciata in Italiano: il mio elaborato fu giudicato “fuori tema, scritto con stile ampolloso e ridondante, non piacevole alla lettura”.Non ricordo il titolo che ci era stato proposto per comporre un testo, ma so che esigeva la solita celebrazione delle glorie del Regime e della suprema grandezza del duce. Scrissi che il mondo mi appariva strano ed incoerente, perché il duce, così bravo a mandare le truppe in Africa per regalare un impero al re, aveva finito col tirarci addosso le bombe che buttavano giù le case della gente. Ed ancora più strano mi appariva che quelle bombe ce le spedissero proprio gli inglesi, che erano stati i primi a scrivere - nero su bianco - i diritti della gente e i doveri dei sovrani verso il popolo, con la loro Magna Charta delle Libertà. Non c’era ancora stato il Gran Consiglio del fascismo che mise sotto processo Mussolini e lo spedì sul Gran Sasso, sicché la mia condanna fu inevitabile.Il 15 giugno, quest’anno, ha segnato gli 801 anni passati da quel 15 giugno 1215 in cui Giovanni Senza Terra promulgò la “Magna Charta Libertatum”. Quel documento viene considerato la prima origine della Rule of Law che nel mondo occidentale garantisce la prevalenza della Legge sul potere e sulla volontà del sovrano: sempre, beninteso, che si voglia cancellare storicamente la tradizione greca e quella romana dei diritti e della libertà dei cittadini.A parte l’Habeas corpus, il diritto di esser giudicati secondo Legge da un consesso di propri pari, a parte l’autonomia della Chiesa d’Inghilterra e l’obbligo di ottenere il consenso dei baroni prima di imporre nuove tasse… coloro che governano oggi farebbero bene a ripassare la Magna Charta: non foss’altro per apprendere, fin dall’incipit, un linguaggio di cortesia e di rispetto verso il popolo dei liberi cittadini: «Giovanni, per grazia di Dio Re d’Inghilterra, signore d’Irlanda, duca di Normandia e di Aquitania e conte di Angiò, agli arcivescovi, abati, conti, baroni, funzionari della foresta, sceriffi, giudici, intendenti, servitori ed a tutti i balivi e fedeli sudditi, salute».