La giustizia riparativa è un tema complesso. L a ( migliore) definizione è contenuta nella Direttiva 2012/ 29/ UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2012: “Per giustizia riparativa si intende qualsiasi procedimento che permette alla vittima e all’autore del reato di partecipare attivamente, se vi acconsentono liberamente, alla risoluzione delle questioni risultanti dal reato con l’aiuto di un terzo imparziale”.

Il termine “autore del reato” si riferisce, come noto, ad una persona che è stata condannata per un reato. Tuttavia occorre ricordare che per la Direttiva sopra richiamata il termine si riferisce altresì ad una persona indagata o imputata prima dell’eventuale dichiarazione di responsabilità e della sua condanna e fa salva la presunzione di innocenza.

La definizione è piuttosto chiara: devono essere garantiti, in egual modo, la libertà della vittima e quella del reo di partecipare, o meno, ad un percorso riparativo di fronte ad un terzo imparziale. La Direttiva è già stata attuata nel nostro ordinamento con interventi mirati nel 2017 e nel 2019. Un’applicazione più significativa deriva dalla ormai ben nota legge n. 134/ 2021 contenente la Delega al Governo per rendere più efficace il processo penale, nonché per introdurre una disciplina organica proprio della giustizia riparativa.

Il decreto legge

 

In questi giorni si discute, non poco, dello schema di D. Lgs., il cui testo è disponibile da alcune settimane, recante l’attuazione della delega. La disposizione più controversa è senz’altro il nuovo art. 129- bis, comma 1. La norma stabilisce che in ogni stato e grado del procedimento l’Autorità Giudiziaria può disporre, anche d’ufficio, l’invio dell’imputato e della vittima al Centro per la giustizia riparativa per l’avvio di un adeguato programma.

È vero che il potere del Giudice sopra richiamato è previsto tra i criteri direttivi stabiliti nella legge delega ( art. 1, comma 18, lett. C) e quindi la previsione non sorprende più di tanto, ma è altresì vero che l’art. 129 rimane una norma infelice. Innanzi tutto perché non pare opportuno che l’iniziativa del Giudice sia priva di indicazioni dei criteri in forza dei quali consentirla, ovverosia proprio di quei criteri di accesso richiamati nella delega.

D’altra parte come non rilevare che, ad esempio, l’art. 168- bis c. p. prevede la sospensione del procedimento penale con messa alla prova dell’imputato lasciando solo a quest’ultimo il potere di effettuare la richiesta.

Le storture

È singolare quindi che in un contesto molto più complesso e difficile rispetto alla scelta di chiedere o meno la messa alla prova si consenta al Giudice di disporre d’ufficio il percorso riparativo. A ciò si aggiunga che anche il comma 3 del novello art. 129- bis appare censurabile sotto vari profili. La lettura del suddetto comma fa pensare che il Giudice possa inviare vittima e reo, con apposita ordinanza, al percorso riparativo senza neppure avere l’obbligo di sentire la vittima del reato.

Una carenza significativa che dovrà senz’altro essere colmata: la disposizione, così come scritta, certamente non coglie il senso della Direttiva europea e neppure della legge delega. È paradossale che si possa pensare di eludere il pensiero della vittima la quale ha tutto il diritto di rifiutare il percorso riparativo.

La lacuna è ancora più grave si si pensa ad altra condizione che a livello europeo è indicata come necessaria per l’avvio del percorso riparativo e cioè il riconoscimento da parte dell’autore del reato ( termine quest’ultimo che deve essere letto con la precisazione riportata in precedenza) dei fatti essenziali del caso.

La condizione è posta a garanzia dell’imputato ( o indagato) forse prima ancora della vittima poiché è evidente che laddove l’indagato non riconosca i fatti, perché si ritiene del tutto estraneo alla vicenda, il percorso è inammissibile per carenza di un presupposto necessario. Non v’è dubbio, infatti, che, ed è proprio qui che si manifesta la straordinaria complessità del tema, qualsiasi modello di giustizia riparativa non può mai scalfire le prerogative difensive dell’imputato.  Quest’ultimo, alla luce delle contestazioni, dopo essersi consultato con il proprio difensore, valuterà liberamente ( l’avverbio è d’obbligo) se partecipare o meno al programma e non può certo subire tale scelta.

Un altro obiettivo?

 

Viene quindi il ragionevole sospetto che determinate scelte siano state operate in funzione di un obiettivo diverso: quello di ridurre i tempi di trattazione del procedimento penale. Concepire la giustizia riparativa come strumento deflattivo sarebbe, tuttavia, un ulteriore grave errore del quale faremo volentieri a meno. Appare quindi inevitabile che lo schema di Decreto legislativo non possa essere condiviso e che, in alcune parti, debba essere rivisto.

Peraltro sussistono anche ulteriori perplessità riguardanti la formazione dei cosiddetti “mediatori”. Non solo e non tanto perché mancano elementi sufficienti per comprendere appieno il ruolo degli avvocati, ma anche perché parrebbe sottratta l’intera formazione dei suddetti alle istituzioni forensi. Forse è un eccesso di preoccupazione ma, tutto sommato, giustificato considerando che, stando alla lettura dello stesso schema ( art. 59), la formazione teorica riguarda nozioni di diritto penale, processuale- penale, penitenziario e minorile, criminologia, vittimologia e ulteriori materie ( giuridiche) correlate.

Gianluca Gambogi

Full Professor of law ( Diritto Penale) in U. P. M. Università di Diritto Internazionale, Milano