«La Giustizia non deve essere strumentalizzata per finalità di consenso politico. E, chiaramente, anche la politica non deve essere strumentalizzata per finalità personali. Insomma, bisogna uscire dalle polemiche ideologiche e dall'idea di fare le riforme non perché necessarie, ma per finalità di consenso elettorale. ». Giuliano Pisapia, avvocato, eurodeputato ed ex sindaco di Milano, ha le idee chiare. Come la ministra della Giustizia Marta Cartabia, che secondo il politico ha la possibilità di dare una svolta in senso garantista alla nostra giustizia civile e penale. «Non ha necessità di raccogliere consensi elettorali - spiega al Dubbio -. E questo la rende più libera nelle decisioni che servono al Paese.”. Il discorso della ministra Cartabia è innovativo e crea una rottura col recente passato. Quali sono i punti forti più forti di questo programma? In una situazione come quella in cui ci troviamo, con un Governo che ha, se va bene, massimo due anni di tempo, la Ministra della Giustizia ha fatto una scelta giusta: anziché fare un programma di carattere generale sui temi della Giustizia, ha indicato le priorità che potrà far diventare realtà nel limitato tempo a disposizione. I problemi della giustizia vengono da lontano e lei ha messo al primo posto i temi della ragionevole durata del processo, della riforma del Csm, delle condizioni spesso disumane delle nostre carceri e, quindi, del principio della “pena certa, ma non necessariamente carceraria”. Temi urgenti e su cui ha idee e proposte chiare anche per la sua esperienza di Presidente della Corte Costituzionale e Professoressa ordinaria di diritto costituzionale. Il carcere deve essere l'extrema ratio e vanno create le condizioni per il reinserimento sociale, lavorativo, familiare dei detenuti. Reinserimento che significa anche una diminuzione dei reati e quindi maggiore garanzie per la sicurezza dei cittadini. I dati dimostrano che chi sconta l’intera pena in carcere ha un tasso di recidiva molto maggiore rispetto a chi ha usufruito di misure alternative. Secondo lei cosa serve dopo tutto quello che è successo negli ultimi tempi, dalla crisi della magistratura alla crisi politica legata ai temi della giustizia? Innanzitutto che la giustizia non sia strumentalizzata per fini politici. E chiaramente anche che la politica non sia strumentalizzata per finalità personali. Bisogna porre fine alle polemiche ideologiche e agli scontri preconcetti; bisogna fare le riforme perché utili e necessarie e non fare le controriforme per cercare consenso elettorale. In questa situazione difficile c’è il vantaggio di avere un esecutivo che, per la maggior parte, non ha bisogno, per il proprio futuro, di un consenso elettorale e quindi avrà la possibilità, che forse non si vedeva da tempo, di fare quello le riforme, indispensabili e urgenti, per una giustizia celere, efficiente e garantista. Uno dei temi principali è la prescrizione, da ricondurre - questo l’intento - nel perimetro della Costituzione, all’interno della riforma del processo penale. Qual è la soluzione? Di certo non quella di eliminare la prescrizione, come qualcuno ha fatto, ma accelerare i tempi del processo. La cancellazione della prescrizione è uno scempio dello Stato di diritto, anche perché si rischia che un ragazzo accusato di un reato quando aveva diciott'anni possa trovarsi con un procedimento aperto quando ne avrà 80. Un’assurdità giuridica in contrasto con la Costituzione, che prevede la ragionevole durata del processo. Il concetto di ragionevole implica anche il dovere di fare tutti gli interventi legislativi, regolamentari e organizzativi necessari per eliminare i “tempi morti” dei procedimenti sia civili che penali. La digitalizzazione e l’aumento degli organici sono fondamentali. Bisogna fare di tutto perché si possa veramente arrivare a definire i processi nel più breve tempo possibile. A tale proposito non si può ignorare che la gran parte dei processi si prescrivono nel periodo delle indagini preliminari. Secondo il M5S la riforma ha proprio lo scopo di correggere le distorsioni frutto dell’irragionevole durata del processo. Al Ministero di Grazia e Giustizia si possono trovare nei cassetti molte proposte di riforma del codice penale e civile, del codice di procedura penale e civile tese ad accelerare i tempi dei processi ,ma non a scapito delle garanzie sostanziali e processuali. Commissioni ministeriali diverse, e nominate in differenti periodi e da Ministri di diverso orientamento politico, sono quasi sempre arrivate alle stesse conclusioni e alle stesse proposte di riforma. Da decenni si fanno proposte concrete e realizzabili ma, troppo spesso, queste proposte vengono modificate, e peggiorate, per il timore di perdere consensi e/o per strumentalizzazioni politiche. Altro tema è la riforma del Csm. C'è chi invoca il sorteggio come strumento più sicuro per evitare degenerazioni. Però l’Anm ha paventato il timore di una contrazione del diritto all’elettorato passivo e attivo dei magistrati. Qual è la strada giusta? In passato, chiunque facesse proposte di riforma del Csm veniva accusato di voler minare l'autonomia e l’indipendenza della magistratura. Nulla di tutto questo. Bisogna creare le condizioni affinché il Csm possa svolgere il proprio ruolo senza limitazioni della propria autonomia e credo che questo non si possa ottenere con il sorteggio, che significa affidare a un organismo così importante, che ha rilievo costituzionale, un meccanismo di scelta casuale dei propri componenti. A me sembra molto interessante, e che non abbia controindicazioni, la proposta di una rotazione dei membri eletti sia togati che non togati. E credo che darebbe più garanzie di autonomia una sezione disciplinare esterna al Csm Come si sconfigge il populismo giudiziario? Si sconfigge mantenendo il segreto e la riservatezza delle indagini e creando le condizioni affinché l’attenzione dei media sia il dibattimento pubblico. La riservatezza è una garanzia anche per chi indaga, perché le informazioni che filtrano all'esterno rendono più facile l’inquinamento delle prove o la fuga dei colpevoli. La segretezza aiuta, da un lato, a svolgere indagini più celeri ed efficaci e, dall'altro, consente di rispettare il principio di presunzione di innocenza. Oggi la semplice iscrizione al registro degli indagati, che dovrebbe essere riservata, si trasforma in una gogna, inaccettabile per chiunque, ma in particolare per gli innocenti. Sono sempre più numerosi i processi che si caricano di attenzione mediatica, con tutto quello che consegue dal punto di vista personale, lavorativo e familiare e che poi si concludono con l’assoluzione. Questo è anche un problema culturale. Ricordo quando ero un giovani avvocato. Le indagini erano realmente segrete e riservate, l’attenzione dei giornali, delle televisioni era soprattutto concentrata nella fase dibattimentale dove, oltre all’accusa e alla difesa, vi erano giudici al di sopra delle parti che, con la sentenza, decidevano la colpevolezza o l’innocenza dell’imputato. Adesso le indagini, le intercettazioni delle indagini preliminari vengono troppo spesso divulgate, creando così l’equiparazione, o quasi, tra indagato, imputato e colpevole. Il governo Draghi è stato visto come la via della salvezza. Lo è davvero? Il governo si trova in una situazione particolare e che non si ripeterà più. Spero proprio che si riescano a fare quelle riforme e quegli interventi indispensabile per una giustizia degna di questo nome. Questo è un Governo con un'ampia maggioranza, con Ministri e con il Presidente del Consiglio che hanno un livello di autonomia e di credibilità riconosciuto da tutti e che garantisce la possibilità di un cambiamento che sembrava impossibile. Se non ora, quando?