Singolare personaggio, Giuseppe Conte. Il presidente del Consiglio pro tempore ( e chissà per quanto) fa di tutto per rimuovere il passato. E si capisce. Perché allora lui era un soggetto percosso. Oggetto della storia altrui. In balìa dei due vice che facevano il bello e il cattivo tempo mentre lui non era che un Cenerentolo. Ma ecco il paradosso: per rimuovere il passato è costretto a evocarlo di continuo. Lo ha fatto il 20 agosto a Palazzo Madama nel corso delle sue comunicazioni, ammantandosi di gloria nelle vesti dell’Ammazzasalvini. Lo ha fatto da Biarritz, quando il vicepremier leghista, nei panni del manzoniano perfido Egidio, tentava la monaca di Monza interpretata da Luigi Di Maio, dichiarando un “mai più con Salvini”. E, a differenza di Niccolò Paganini, ieri l’altro ha concesso un altro bis a Montecitorio.

Stavolta Conte non ha preso di petto il Capitano degradato sul campo. No, lo ha circondato con un girotondo. Tanto per sottolineare la metamorfosi di Conte 2, la Vendetta. O, meglio ancora, di Camaleo. Un uomo per tutte le stagioni rimanendo, in interiore homine, sempre sé stesso.

E giù punture di spillo a non finire. Lui guiderà la squadra ministeriale “con disciplina e onore”. Come dire, indossando impeccabili doppiopetti e non felpe ammiccanti a questo o a quello. Il suo governo avrà un programma in quinci e quindi e non un’accozzaglia di sogni alternativi buttati giù alla rinfusa. Un programma «nuovo nella sua impostazione, nuovo nel suo impianto progettuale, nuovo nella determinazione ad invertire gli indirizzi meno efficaci delle pregresse azioni, nuovo nelle modalità di elaborazione delle soluzioni ai bisogni dei cittadini e alle urgenze che assillano la società, nuovo nel suo sforzo di affrontare, con la massima rapidità, le questioni più sensibili e critiche».

Ancora. «Vogliamo volgerci alle spalle il frastuono dei proclami inutili, delle dichiarazioni bellicose e roboanti». «Difendere l’interesse nazionale non significa abbandonarsi a sterili ripiegamenti isolazionistici». Più chiaro di così!

Già, ma Salvini non era un uomo solo al comando. Almeno fino alla Caporetto pentastellata alle elezioni europee. C’era anche Di Maio, il leader al quale – per un verso distinto e distante – si sente più vicino.

Si richiama anche al passato, Conte. Ma al nostro migliore passato, «equilibrio e misura, sobrietà e rigore». E via di questo passo. «Un lessico più consono, più rispettose delle persone, della diversità delle idee». «La lingua del governo sarà una lingua mite… la forza della nostra azione non si misurerà con l’arroganza delle nostre parole». Ed ecco il richiamo alla Costituzione, la più bella del mondo a detta delle sinistre, che a seconda delle convenienze la esaltano o se ne fanno un baffo.

Nella consapevolezza che più dà addosso a Salvini e più si accredita agli occhi della comunità internazionale e di quella di casa nostra come il San Giorgio che debella il drago leghista.

Dopo la pars destruens, Conte- Camaleo declama – da futurologo – un catalogo di buone intenzioni per i classici tre quarti d’ora ( noblesse oblige) accademici. Sono le solite brevi considerazioni sull’universo sulle quali ironizzava Giovanni Malagodi. Quasi che il governo dovesse durare, sognando a occhi aperti, non solo per l’intera legislatura ma addirittura di qui all’eternità. Per dirla con il titolo di una celebre pellicola cinematografica. E infatti il presidente del Consiglio, petto in fuori e pancia in dentro, dichiara che il suo patto politico e sociale si proietta... «in una dimensione intergenerazionale». E giù un ambizioso programma di riforme costituzionali ed elettorali, peraltro senza un ministro ad hoc, elaborato – manco a dirlo – ad usum delphini.

Perché se del potere non si abusa, che mai di potere è? Una famosa massima valida erga omnes.

Ma l’assassino, si sa, torna sempre sulla scena del delitto. Così nella replica Camaleo ha ripagato con gli interessi una Lega che lo considera il nemico pubblico numero uno. Uomo a sangue ghiaccio qual è, si è fatto prendere dall’emotività e si è tolto parecchi sassolini dalle scarpe? Oppure di proposito è partito arma in resta per accreditarsi ancor più come l’Ammazzasalvini? Chissà. Perché Camaleo, a volte, ci appare come il Cremlino, un mistero avvolto in un enigma. Fatto sta che ha suscitato reazioni da parte delle opposizioni che non si erano mai viste in età repubblicana nei due rami del Parlamento.

La replica al Senato è stata poi per buona parte all’insegna dell’heri dicebamus. A Salvini, intervenuto prima di lui, ha reso pan per focaccia. Gli ha addebitato la responsabilità della crisi. Gli ha rinfacciato la richiesta illegittima delle elezioni anticipate. Gli ha dato dell’incoerente perché l’amico di ieri lo ha trasformato nel nemico di oggi. E tanto altro ancora. E allora lunga vita a Salvini. Perché se il capo della Lega attaccasse la politica al chiodo, uno come Conte, che deve la sua resurrezione all’antisalvinismo, che cosa mai farebbe da grande?