L’ ex ministro degli Esteri Giulio Terzi non nasconde la sua preoccupazione a seguito dell’apertura della crisi di governo, che potrebbe mettere la parola fine all’esperienza a Palazzo Chigi di Mario Draghi. «Il siluro sparato dal Movimento cinque stelle contro il governo – dice Giulio Terzi – avrà conseguenze pesantissime e dirette sulla nostra politica estera, se pensiamo anche alle convergenze degli esecutivi guidati da Giuseppe Conte con la Russia e con la Cina».

Ambasciatore Terzi, quale impatto avranno sulla politica estera le dimissioni del presidente del Consiglio Mario Draghi?

L’impatto sarà molto forte. È difficile parlare di politica estera come di un vaso a sé stante che non comunica con altri. La politica estera italiana, così come le posizioni di politica estera dell’Unione europea, dei maggiori Paesi al mondo, del G7, risentiranno delle dimissioni del presidente Draghi. Non dimentichiamo, inoltre, il modo con cui sono state causate e i responsabili. Il presidente del Consiglio è una personalità politica di altissimo livello il cui valore è riconosciuto in tutto il mondo. Le cose che ha sempre detto con chiarezza e fatto con coerenza lasciano appesa a un filo la possibilità che si possa trovare una soluzione di prosecuzione del suo mandato mercoledì prossimo. Draghi ha fatto di tutto per tenere la rotta salda rispetto alle posizioni in ambito internazionale del Paese. Ora facciamo un salto nel buio. Le conseguenze sono già molto pesanti.

La crisi di governo che si è aperta rivolge lo sguardo fuori dai confini nazionali?

È un’operazione politica determinata da interessi molto particolari con conseguenze che potrebbero essere pesantissime sulla sicurezza italiana, sulla possibilità di guidare l’Europa verso uno scenario di pace anziché di ancora peggiore conflittualità con la Federazione Russa. L’operazione politica che ha aperto questa crisi di governo crea una situazione di debolezza per l’Europa e per l’occidente nei confronti della Cina. Sul piano economico- finanziario abbiamo subito visto le conseguenze. Lo dimostrano i dati relativi alla chiusura dei mercati, l’aumento dello spread e le proiezioni devastanti per quanto riguarda i finanziamenti dell’Unione europea e tutti gli impegni legati al Pnrr.

L’ex presidente russo Medvedev ha ironizzato sui social pubblicando la foto dei leader europei dimissionari, il britannico Johnson e lo stesso Mario Draghi. È il segno che comunque il nostro presidente del Consiglio era ed è temuto?

Quella di Medvedev è solo propaganda volgare. Sta cercando di crearsi una verginità, dopo essere stato emarginato da diversi anni a questa parte direttamente da Putin. La sua è stata una presa di posizione orrenda sulle pagine social. Quella propaganda dimostra che il gioco fatto dai Cinque Stelle e dall’ex presidente Conte è, oggettivamente, e non faccio nessun processo alle intenzioni, tutto a sostegno degli interessi russi e degli interessi cinesi. Un gioco radicato in molte personalità del Movimento 5 Stelle nel Parlamento e fuori, sempre pronte a dire che l’Italia doveva trovare una nuova alleanza, un nuovo schieramento nel mondo. L’operazione volta a minare la stabilità del governo, in una fase così critica per la sicurezza in Europa, indica con chiarezza il disegno di indebolire l’Unione europea e l’Alleanza atlantica in un momento molto delicato. Questo tentativo di indebolimento non è solo collegato alla propaganda di Medvedev.

Un mese fa Draghi si è recato in Ucraina con il presidente francese Emmanuel Macron e il cancelliere tedesco Olaf Scholz, dando slancio all’azione europea a sostegno del Paese aggredito. La crisi di governo indebolisce il sostegno all’Ucraina?

Con la sua missione a Kiev Draghi ha determinato pure un consolidamento della posizione francese e di quella tedesca. Fino a quel momento Francia e Germania non erano così determinate nell’imprimere una svolta politica significativa sul piano formale e sostanziale all’allargamento dell’Unione europea con il riconoscimento all’Ucraina dello status di Paese candidato. Si è trattato di un viaggio che ha influito sul nuovo concetto strategico dell’Alleanza atlantica, che ha rappresentato una svolta da un punto di vista operativo, concettuale e per l’allargamento a Svezia e Finlandia. Chi ha concepito la crisi di governo ha voluto mettere una zeppa nell’ingranaggio della coesione atlantica e della deterrenza occidentale nei confronti dell’aggressione russa. Se si dovessero ottenere gli effetti desiderati, questa operazione sminuirà e minerà la credibilità della deterrenza occidentale di cui ho appena parlato.

Secondo lei l’operazione per fare inciampare il governo, che ha portato poi alle dimissioni di Draghi, è stata studiata da tempo, tenendo conto dell’atteggiamento compiacente verso determinate potenze mondiali?

L’atteggiamento filorusso e anti- Nato di una parte considerevole del M5S risale agli anni scorsi. Abbiamo assistito alle visite di uno dei suoi leader, anche se non siede in Parlamento, a Mosca, in Iran, non certo negli Stati Uniti, a Londra o a Bruxelles. Quella forza politica e l’ex presidente del Consiglio espresso da quella forza politica hanno fatto delle cose sempre nella stessa direzione, vale a dire offrire assist alla Russia e alla Cina. Ricordiamo il Memorandum of understanding, senza dibattito parlamentare, che ha fatto entrare l’Italia, primo Paese europeo, nelle “Via della Seta”.

In casi come questi possiamo parlare di “amicizie” pericolose, dunque?

Sono state ampliate collaborazioni inaudite in tutti i settori più sensibili, come nel settore spaziale, nelle telecomunicazioni, nelle attività di altissimo rischio rispetto ai furti di proprietà intellettuale. Per non parlare poi della collaborazione con i russi quando è scoppiata la pandemia nel 2020. Insomma, sono stati posti in essere atti che in politica estera sono molto pericolosi, in contrasto con la linea che ha garantito al nostro Paese settant’anni di libertà, di appartenenza al mondo libero, di protagonismo nell’Unione europea e nell’Alleanza atlantica. E quando parlo di politica estera mi riferisco alla politica europea e al modo con cui vengono gestite anche tutte le relazioni economiche indispensabili per il nostro sviluppo.