Se il segretario del Pd rilascia un’intervista all’importante quotidiano nazionale, bisogna stare attenti. Perché il Pd è l’ultimo partito in circolazione sulla scena pubblica, la “cosa” che più di tutte somiglia alla forma- partito dei tempi ruggenti. Perché gli altri, tutti, o sono soltanto liste elettorali o movimenti o formazioni costruite attorno alla figura ( e ai danari) del capo carismatico. Il Pd resta ancora un partito soprattutto per la struttura oligarchica e non cesaristica del suo vertice.

Dunque attingiamo. E che cosa scopriamo, oltre alle rassicurazioni sulla navigazione del governo?

Che la condizione posta dal segretario Zingaretti per votare sì al referendum sul taglio dei parlamentari è che si proceda prima all’approvazione della nuova legge elettorale.

Cerchiamo di capirci. Che occorrerebbe una nuova legge elettorale ove fosse confermato l’intervento chirurgico, ovviamente è pacifico, non foss’altro che per la banale questione aritmetica dei 345 parlamentari sovrabbondanti nel vecchio sistema elettorale. Peraltro il testo di cui si va discutendo nelle commissioni parlamentari è, salvo alcune forzature ( sbarramento al 5% inedito nell’ordinamento elettorale italiano e, soprattutto, mancanza della possibilità di scelta degli eligendi da parte degli elettori), francamente minimalista, nel senso che poggia quasi totalmente su quella che è oggi la legge, il discusso “Rosatellum, monco della parte maggioritaria. Ma quel che non torna è il ragionamento sulla tempistica. Perché c’è un’anteriorità logica saltata in questa richiesta di Zingaretti: come si fa a pensare alla nuova legge elettorale che resetti i numeri dei rappresentanti fino alla cifra indicata dal taglio se il taglio non è stato ancora ratificato dal popolo sovrano? E se la riforma fosse bocciata, che cosa si farebbe? Ancora una legge elettorale, nel periglioso rosario di latinorum portasfiga ( conteggiando il proporzionale di partenza e includendo Mattarellum, Porcellum, Italicum prematuramente scomparso, Rosatellum più l’eventuale o le eventuali, sarebbero sei o sette in ventisei anni!

Ammappela!!!)!

Ancora: nell’intervista si legge, forse per una giustificazione postuma degli impegni assunti per far partire il Conte II, tra cui campeggiava l’adesione alla proposta di legge sul taglio a firma M5S, che da sempre il Pd si è schierato per la riduzione dei parlamentari.

Con tutto il rispetto, avevamo capito un’altra cosa quando con argomenti più seri gli esponenti del Pd si erano schierati contro la riforma pentastellata, votando per ben tre volte no in Parlamento.

Tornando alla richiesta del segretario del Pd va ricordato, per incidens, che le Camere che ancora stavano “discutendo” la proposta attingendo anche ad una serie di audizioni degli esperti nei mesi passati, sono ancora chiuse e richiuderanno per il referendum l’ 11 settembre.

Nello spiraglio dell’apertura ci sarà il Recovery Fund che non è cosa lievissima come impegno parlamentare.

Dunque, una proposta impossibile, quella di approvare la riforma elettorale subito. E allora perché, un capo di partito esperto come Zingaretti, la fa? Se valesse ancora l’alfabeto della politica diremmo che dobbiamo attenderci una scelta finale che consenta la libertà di voto per il popolo del Pd, il che sarebbe coerente con tutto il travagliato percorso che lo ha portato al governo con il M5S. Equivarrebbe a dire ai partner: “Ci eravamo obbligati a votarlo in aula e l’abbiamo fatto, lealmente, ma adesso non potete chiederci di più”.

Ma era un alfabeto antico.

Come un geroglifico sulla stele di Rosetta.