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Ucraina
L’aggressione ai danni dell’Ucraina è priva di qualsiasi giustificazione, è figlia di una logica che credevamo appartenesse al passato e giustifica una mobilitazione internazionale, prima di tutto con gli strumenti del diritto internazionale.
Marco Pedrazzi, professore ordinario di Diritto internazionale nell’Università degli Studi di Milano “La Statale”, illustra le varie strade che la comunità internazionale può intraprendere per difendere l’Ucraina invasa dalle forze armate russe.
Professor Pedrazzi, l'aggressione della Russia ai danni dell'Ucraina è un fatto gravissimo prima di tutto da un punto di vista giuridico. Cosa dice il diritto internazionale?
L’attacco all’Ucraina da parte della Federazione Russa, seguito al riconoscimento dell’indipendenza delle due repubbliche separatiste nell’est del Paese, costituisce una violazione gravissima dell’ordine giuridico internazionale. Esso si configura come un atto di aggressione e cioè quale violazione grave del divieto di uso della forza nelle relazioni internazionali, principio fondamentale del diritto internazionale incardinato nell’articolo 2.4 della Carta delle Nazioni Unite e che è ritenuto appartenere al diritto cogente, almeno nel suo nucleo essenziale. Tale violazione è per di più priva di qualunque parvenza di giustificazione.
Un’aggressione che risponde alla logica di una politica di potenza, apparentemente tesa a smembrare uno Stato sovrano, indipendente e democratico, a completamento di un piano già intrapreso a partire dal 2014, nonché a sottometterlo al volere dell’aggressore. Una logica che si sperava appartenesse ad un passato ormai lontano. Al contempo siamo in presenza di un attacco armato che giustifica, ai sensi dell’articolo 51 della Carta, la reazione armata in legittima difesa da parte dell’Ucraina, nonché, eventualmente, anche se questa ipotesi appare lontana, da parte di altri Paesi che su sua richiesta dovessero intervenire in suo soccorso.
[caption id="attachment_387032" align="alignnone" width="300"] Il professor Marco Pedrazzi[/caption]La Russia siede nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ha creato un precedente pericoloso attaccando uno Stato sovrano?
Come è noto, sul Consiglio di sicurezza fa perno il sistema di sicurezza collettiva ideato dalla Carta delle Nazioni Unite. L’obiettivo era quello di fare di quest’organo uno strumento essenziale per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Era però chiaro fin da principio che questo sistema non avrebbe potuto funzionare in relazione a crisi che coinvolgessero direttamente uno o più dei cinque membri permanenti, inclusa l’Unione Sovietica, poi sostituita dalla Russia, dotati del potere di veto, così come è dimostrato dalla scontata bocciatura da parte del Consiglio, il 26 febbraio, in conseguenza del veto russo, del progetto di risoluzione di condanna dell’invasione presentato dagli Stati Uniti. Cina, India ed EAU si sono astenuti. È chiaro dunque che qualunque atto di aggressione compiuto da un membro permanente del Consiglio costituisca un atto di grave rottura del sistema. L’attacco all’Ucraina non è purtroppo il primo di questi atti, anche se si tratta di uno dei più gravi in assoluto.
Il peso della Russia nel Palazzo di Vetro mette in crisi le Nazioni Unite?
È evidente che le Nazioni Unite siano indebolite da questo attacco. Del resto, la guerra in Ucraina rappresenta soltanto l’ultimo di una serie di fattori di crisi emersi, non certo dal solo lato della Russia, nel corso degli ultimi due decenni. Data la paralisi del Consiglio, presieduto nel mese di febbraio, per ironia della sorte, ma forse no, proprio dalla Russia, è probabile che l’Assemblea generale cerchi di ritagliarsi un ruolo quantomeno di carattere morale nella crisi, come già fece all’atto dell’annessione della Crimea, senza peraltro essere in grado di sostituirsi al Consiglio di sicurezza.
Putin in futuro potrà essere giudicato da un Tribunale internazionale per l'attacco all'Ucraina?
Non considerando le difficoltà politiche connesse ad una eventualità di questo tipo, Putin potrebbe rischiare di essere incriminato davanti alla Corte penale internazionale, nonostante né la Russia né l’Ucraina abbiano ratificato lo Statuto della Corte. L’Ucraina infatti, come ricordato il 25 febbraio in una dichiarazione del Procuratore della CPI, Karim Khan, ha accettato nel 2015 la giurisdizione della Corte in relazione a crimini internazionali commessi sul suo territorio a far data dal 20 febbraio 2014. Tale giurisdizione non copre tuttavia il crimine di aggressione, ma solo il genocidio, i crimini contro l’umanità e i crimini di guerra. Tanto le autorità russe quanto quelle ucraine potrebbero dunque essere indagate e perseguite davanti alla Corte penale internazionale, se dovessero ravvisarsi nella condotta del conflitto gravi violazioni del diritto internazionale umanitario o dei diritti umani commesse dall’una o dall’altra parte.