Per il capogruppo del Pd in commissione Lavoro alla Camera, Arturo Scotto, la vicenda sul salario minimo «insegna che quando le opposizioni si uniscono la destra arranca e insegue; quando si dividono sulle sfumature, la destra deborda» .

Onorevole Scotto, come continuerete la battaglia sul salario minimo?

Innanzitutto la nostra battaglia politica continua perché c’è un secondo round al Senato, a meno che, come io temo, la maggioranza non deciderà di far finire la delega su un binario morto. Ma arrivare alle Europee con questo obbrobrio politico e giuridico, persino con qualche forma di incostituzionalità, magari è troppo anche per questa maggioranza. In ogni caso continueremo a riproporre il tema del salario minimo in tutti i provvedimenti economici, perché restiamo convinti che sia una misura necessaria di giustizia sociale, soprattutto in un paese con salari bassi e scarse tutele che ha deciso di competere sulla scala globale in maniera distorta. Con scarsi risultati sul terreno della produttività e della crescita economica.

Cosa risponde alla presidente Meloni che rinfaccia al Pd di non aver messo a terra il salario minimo negli scorsi anni di governo?

Questa è la barzelletta che la destra continua a ripetere in maniera ossessiva, soltanto per nascondere il fallimento di affossare una norma condivida da gran parte dei loro stessi elettori, per di più in un momento in cui l’inflazione è a due cifre e i salari diminuiscono. Il governo punta sulla contrattazione collettiva ma finisce per spalancare la porta ai contratti pirata. Insomma, ho l’impressione che quest’arma sia abbastanza spuntata.

Cercherete il dialogo con la maggioranza o continuerà il muro contro muro?

Abbiamo fatto un appello al governo chiedendo di ritirare la delega, la quale è un modo per trasformare i deputati in degli schiacciabottoni e distorce la natura della nostra democrazia. Ci hanno risposto di no, dopo che hanno rinviato e sospeso questa vicenda per ben due volte. Non hanno lanciato altre proposte, ma introducono nella delega le gabbie salariali e la legge sulla partecipazione, tema delicatissimo che è materia squisitamente parlamentare. Credo che lo spazio del dialogo l’abbia chiuso la destra.

Crede, come ha detto il presidente M5S Giuseppe Conte, che la battaglia sul salario minimo sia un seme gettato sulla strada della costruzione di un’alternativa alla destra?

Credo che il metodo che abbiamo utilizzato sul salario minimo, partendo dal merito delle questioni e dall’esigenza dei cittadini di aumentare il livello di giustizia sociale nel nostro paese vada riproposto anche per altri temi. Questa vicenda insegna che quando le opposizioni si uniscono la destra arranca e insegue; quando si dividono sulle sfumature, la destra deborda.

Dunque dico che è necessario costruire una piattaforma attorno a poche cose, come ha sempre detto la nostra segretaria Schlein, che metta al centro le questioni che interessano i cittadini. Questa partita alla fine premierà chi è più generoso, non chi è più divisivo.

Quali sono queste poche cose sule quali combattere assieme?

Intanto la difesa del valore universalistico del welfare, a partire dalla sanità. Ma per rimanere ai temi del lavoro credo che dobbiamo mettere a terra alcune cose fondamentali. Serve un grande piano per il lavoro nella PA. Abbiamo 700mila persone che di qui a 5 anni lasceranno la PA e tra poco i comuni non saranno in grado di stampare più una carta d’identità e gli uffici tecnici non saranno in grado di redimere un progetto. Il Pnrr, in questo modo, rischia di essere solo un’enunciazione retorica. C’è un’intera, nuova generazione deve entrare nella PA per salvare il welfare e rinnovare lo Stato.

Il secondo aspetto riguarda l’oceano di precarietà che colpisce i giovani. Perfino nel dl lavoro, collegato al cosiddetto decreto primo maggio, si va a peggiorare la condizione dei lavoratori in somministrazione, che sono già uno scandalo nel nostro mercato del lavoro. Servono contratti a tempo indeterminato.

Del quasi mezzo milione di posti di lavoro creati nell’ultimo anno però la maggior parte è a tempo indeterminato: cosa si può fare di più?

Che me ne faccio di contratti a tempo indeterminato se, tra questi, aumentano i part time, e allo stesso tempo cresce il lavoro intermittente, aumentato del 6 per cento soprattutto in settori come turismo e agricoltura. I dati sono falsati perché molto spesso sono gli over 50 ad avere un contratto a tempo indeterminato mentre gli under 50 un contratto a tempo indeterminato non l’hanno mai visto. Infine c’è il grande tema dei cambiamenti tecnologici, come l’avvento della IA, che vanno governati e non cavalcati a occhi chiusi.