Kostoris. I dati Istat sull’occupazione fanno tirare un sospiro di sollievo al governo: con il 9,9% di disoccupazione, per la prima volta in sette anni l’Italia scende, pur lievemente, sotto la doppia cifra.

Eppure, anche se «I dati sull’occupazione sono incoraggianti», i numeri «non possono essere letti in modo separato da quelli, molto meno positivi, del Pil», avverte l’economista Fiorella Kostoris, membro del consiglio direttivo dell'Anvur ( Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca) e docente all'Università di Roma La Sapienza.

Professoressa, come è possibile che la disoccupazione diminuisca, vista la difficile situazione economica italiana?

I due dati potrebbero sembrare in contraddizione, invece sono coerenti considerato un terzo fattore: quello della produttività, che non sta aumentando come si sperava ( La produttività è data dal rapporto tra prodotto e occupati impiegati per realizzare tale prodotto. All’aumentare nel numero degli occupati, la produttività tende a diminuire se non è sostenuta dall’aumento del Pil ndr).

Il dato, quindi, non è incoraggiante?

La diminuzione del tasso di disoccupazione è un dato che non può che far ben sperare, soprattutto perchè diminuisce anche la disoccupazione giovanile.

Però rimangono gli aspetti preoccupanti del Pil e nella produttività ancora stagnanti, se non negativi.

In che modo la produttività influenza l’occupazione?

Innanzitutto, va capito che con una produttività che non cresce come quella italiana, i nuovi impiegati potrebbero essere entrati nel mondo del lavoro in modo poco qualificante.

Il salario è indissolubilmente legato alla produttività: se questa non cresce non aumentano nemmeno i salari, se non in modo distorsivo.

Quindi il dato sul calo della disoccupazione potrebbe nascondere un dato negativo sul fronte salariale?

Il calo della disoccupazione è una buona notizia, ma un Pil stagnante sia nel primo che nel secondo trimestre di quest’anno e senza prospettive rosee nemmeno per il resto del 2019 e una produttività stagnante per ragioni strutturali producono ovviamente una stagnazione anche dei salari.

In sintesi, più occupati non significa che siano occupati nel modo migliore, dal punto di vista della dinamica salariale.

Inoltre, va valutato anche in quali settori si registra questo aumento dell’occupazione.

In che modo questa è una variabile?

L’unica voce positiva nel nostro bilancio nazionale è quella legata all’export. Se la maggior occupazione si registra in settori trainanti e che hanno visto una crescita positiva, il dato è allora a sua volta positivo.

Se, invece, la crescita di occupati si registra in settori come il pubblico impiego, in cui non si dovrebbe registrare maggiore occupazione, allora il dato desterebbe maggior preoccupazione.

Esiste una strada per migliorare la produttività italiana?

Il primo fattore di miglioramento dovrebbe essere quello di una maggiore dotazione di capitale per occupato, che dovrebbe essere più ampia ma soprattutto più moderna.

Il secondo fattore riguarda invece la formazione: nelle università sarebbe necessario adottare metodi di insegnamento più focalizzati sulle competenze e meno sull’apprendimento nozionistico. I

l problema dell’Italia, in questo momento, è duplice: da un lato di non avere abbastanza laureati; dall’altro di formare laureati non adatti ai bisogni delle imprese e della società civile.

Se l’Italia avesse laureati e diplomati di migliore qualità, migliorerebbe anche la nostra produttività. Purtroppo, però, non si vede nessun passo avanti in questa direzione.

Gli investimenti dovrebbero essere privati o pubblici?

Una combinazione di entrambi. Penso agli investimenti pubblici: oggi sono il 2% del Pil, mentre quindi anni fa erano superiori di almeno un punto percentuale.

L’Italia ha una impellente necessità di aumentare la componente di accumulazione di capitale pubblico, perchè attualmente è inferiore rispetto al passato e anche molto al di sotto della media europea.

E’ chiaro che servono i giusti incentivi per l’investimento privato, ma in particolare nei campi della conoscenza e della formazione la parte pubblica è ineliminabile e soprattutto quella davvero determinante.

L’Italia riparte con la formazione, quindi?

Ma certo, puntare sull’insegnamento è il punto focale e le aziende lo sanno meglio di chiunque altro.

Oggi in Italia è possibile reclutare personale apparentemente qualificato, ma che di fatto non ha le competenze necessarie e dunque l’azienda ha la necessità di investire per formarlo.

Questo è un limite enorme, perchè solo le grandi aziende sono in grado di investire risorse proprie nella formazione.