«Come diceva George Orwell, il modo più veloce di finire una guerra è perderla. Ecco perché vorrei che la Russia perdesse: solo così, forse, ci sarà una speranza per la democrazia». È un desiderio dolente quello di Marina Ovsyannikova, costretta a “scommettere” sulla sconfitta del proprio Paese per liberarlo dal regime di Putin.

Se si riporta indietro il nastro di un anno sembra quasi impossibile che le parole della giornalista russa possano risuonare libere, come è avvenuto al Salone del libro di Torino, dove il 19 maggio Marina ha partecipato insieme alla collega Zhanna Agalakova a un incontro organizzato dal Dubbio.

Tutto il mondo ha imparato a conoscerla il 14 marzo 2022, quando la reporter è comparsa con un cartello in mano in diretta tv sul primo canale russo, Channel One, per protestare contro l’invasione in Ucraina. Una scelta radicale di libertà che l’accomuna con Zhanna: le due giornaliste si sono conosciute nella redazione dell’emittente russa dove hanno lavorato a lungo, l’una come redattrice e l’altra come presentatrice. Fino a quando entrambe hanno deciso di rompere il silenzio e smascherare la macchina della propaganda costruita dal Cremlino.

Adesso Marina è distante chilometri da Mosca, e le basta un breve viaggio per raggiungere l’Italia dalla Francia, dove è rifugiata dallo scorso ottobre, quando è scappata dai domiciliari. A circondarla, nello stand del Dubbio alla kermesse torinese, c’è un notevole apparato di sicurezza, studiato per proteggerla dalla minaccia di morte che dalla Russia le pende sul capo.

Dopo la sua protesta, ha dovuto subire due processi: il primo su iniziativa dell’ex marito per portarle via i figli di 11 e 18 anni, che si è concluso con la decisione della magistratura russa di limitare i suoi diritti genitoriali perché “impegnata in attività politiche”. Il secondo costruito sulla base delle leggi liberticide introdotte da Putin dopo l’invasione in Ucraina per azzerare il dissenso. «Il mio avversario non era soltanto il Cremlino, ma l’intero sistema giudiziario», spiega Marina. «Ho deciso di scappare perché era chiaro che sarei finita in prigione come tutti gli altri dissidenti. Sono una ricercata internazionale perché ho detto la verità sui 352 bambini morti sotto i bombardamenti russi», prosegue la giornalista durante l’incontro moderato dal giornalista del Dubbio Gennaro Grimolizzi.

Il dato di cui parla è vecchio di un anno: risale alla seconda azione di protesta messa in campo dalla giornalista nei pressi del Cremlino, con un cartello che riportava il numero di vittime diffuso dall’Onu e puntualmente censurato da Mosca. «Dopo il primo cartello in diretta tv, le autorità russe pensavano che avrei avuto paura, ma ho continuato a dire la verità. Così una mattina, all’alba, gli agenti mi sono piombati in casa. Mi hanno portato in una cella di isolamento, dove ho passato la notte come una assassina», racconta Marina. Che ha scritto della sua vicenda nel libro autobiografico “Tra il bene e il male, come mi sono finalmente ribellata alla propaganda del Cremlino”, già pubblicato in tedesco, inglese, francese e russo, in attesa di arrivare anche nelle librerie italiane. Zhanna ne legge alcuni stralci e ripercorre con la collega i momenti più duri: dall’arresto alla fuga, che in un insolito gioco del destino le ha riunite in Francia a distanza di anni. «Mi sono ritrovata con una valigia in mano, in mezzo a un piccolo aeroporto, ci stavamo spostando da un paese all’altro. Non posso ancora rivelare i dettagli della mia fuga, ma spero che un giorno, quando la Russia si libererà dall’oscurità del putinismo e diventerà di nuovo parte del mondo libero, potrò raccontarlo. La guerra ha già cambiato la mia vita una volta: la prima quando le truppe russe hanno raso al suolo la mia casa a Groznyj, ora il Cremlino mi ha tolto la casa, la famiglia e il mio paese. Ma non ha potuto togliermi la cosa più importante: la mia libertà. Ho sacrificato tutto, ma non sono pentita: era la scelta giusta», dice Marina. Che la censura la conosce bene, l’ha vista applicare ogni giorno a Channel One: i giornalisti hanno accesso a tutte le agenzie e alle immagini dei principali media internazionali, ma possono trasmettere solo quelle approvate dal ministero della difesa e dall’Fsb, che arrivano dai corrispondenti di guerra russi.

Anche le organizzazioni a difesa dei diritti umani, come l’Ong Memorial, sono state completamente smantellate. Gli avvocati sono costretti al silenzio, e quei pochi che riescono ancora ad esercitare liberamente rischiano la vita. Come Dmitry Zakhvatov, il difensore di Marina che l’ha aiutata a scappare.

A sottolineare l’importanza della “resistenza”, e il dovere di raccontare la verità in capo ai giornalisti è anche Zhanna, che da presentatrice di punta della tv russa è diventata una spina nel fianco dello “zar”. «Putin ha solo un’idea: rimanere al potere più tempo possibile», dice la giornalista. Per la quale tutto è cominciato almeno 20 anni fa, quando il presidente russo ha cominciato a costruire la propria immagine eroica facendo della stampa libera carne da macello. «È difficile per me dire che mi auguro la sconfitta della Russia – confessa Zhanna senza trattenere l’emozione -. Ma la vedo come unica via d’uscita: se Putin perde, i russi vincono. La vittoria dell’ucraina è la vittoria della Russia».