EDITORIALE

Domani il Consiglio dei ministri esaminerà, e forse varerà, il decreto che riforma le intercettazioni. Aspettiamo di leggerlo, per giudicarlo. Però di una cosa sono certo: sarà molto al di sotto di quel che servirebbe, e lo sarà per un motivo semplice, che provo a spiegare. Intercettazioni: se facessimo come in Inghilterra?

Perché il governo deve tenere conto delle pressioni formidabili che vengono esercitate dalle due categorie che oggi, sul piano politico, in Italia, sono le più potenti tra tutte le altre categorie (dopo i big della finanza...): giornalisti e magistrati. Per giornalisti e magistrati le intercettazioni sono linfa vitale. Non possono farne a meno. Sono il carburante che permette alle loro macchine di funzionarie. E la sola idea di doverci rinunciare li atterrisce.

Non esiste nessun’altra ragione seria per non decidere misure drastiche contro le intercettazioni. L’unica ragione è il terrore della canizza che magistrati e giornalisti sono in grado di sollevare, sostenendo che ridurre le intercettazioni significhi limitare il lavoro della magistratura e ferire la libertà di stampa. Nessuna delle due cose è vera. La magistratura per il suo lavoro non ha bisogno di intercettare ogni giorno decine di migliaia di telefoni. Ha bisogno invece di mezzi finanziari, tecnologi e umani. Nella maggior parte dei casi le intercettazioni non sono usate per impedire un reato e per trovare i colpevoli di un reato, ma solo per mettere sotto controllo un “previsto-colpevole” e sperare che cada in trappola. Il metodo della intercettazioni a strascico, che è il più usato, è in contrasto aperto con i compiti e le funzioni della magistratura. E talvolta anche con la legge. Per di più, spessissimo, le intercettazioni sono fuorvianti, o perché non si tiene conto dei toni, dei sottintesi, dei lessici usati dagli intercettati, o perché addirittura non si capiscono i dialetti, o perché non si escludono i continui fenomeni di millantato credito (che sono un ingrediente essenziale nelle telefonate di ciascuno di noi). E dunque, con una notevole frequenza, non solo non aiutano le indagini ma aiutano clamorosi errori giudiziari.

Quanto alla libertà di stampa, è una cosa molto seria (molto poco praticata nel nostro paese) e con le intercettazioni non ha niente a che fare. Tra libertà di stampa – e di inchiesta, di indagine, di analisi, di reportage, di racconto: tutta merce assente dai nostri giornali – e libertà di mettersi agli ordini dei pezzi della magistratura o degli 007 dei servizi segreti, ci passa un oceano più grande del Pacifico.

Le intercettazioni, semplicemente, sono nel migliore dei casi un aiuto a lavorare meno, per Pm, poliziotti e giornalisti, nel peggiore dei casi un formidabile e abusivo strumento di potere e di lotta per il potere.

Le intercettazioni – cioè, l’assurdo eccesso delle intercettazioni – sono una piaga del giornalismo e della giustizia italiana. Tant’è vero che in un paese sicuramente democratico come la Germania, e dove sicuramente la giustizia funziona meglio che da noi, le intercettazioni sono quasi otto volte di meno che da noi. Capite che vuol dire? Non è che il numero delle intercettazioni, in Italia, sia del del 20 o del 30 o del 40 per cento superiore al numero delle intercettazioni tedesche. No: l’ottocento per cento in più. Una differenza spaventosa, inspiegabile.

Oppure preferite fare il confronto con la Gran Bretagna, patria del diritto anglosassone? Le nostre intercettazioni sono 33 volte di più di quelle inglesi: il 3300 per cento in più. Cifre da capogiro. Che fotografano la distanza tra uno Stato di diritto serio e un luogo dove vige una specie di “democrazia spiata”.

In Gran Bretagna le intercettazioni sono permesse solo a scopo investigativo. Non sono ammesse nel processo né come prove né come indizio. E non sono pubblicabili dai giornali, come succede in quasi tutta Europa. Ora non credo che salterà su qualcuno a dirmi che l’Inghilterra dovrebbe imparare da noi cos’è la libertà di stampa.

Di questi dati di fatto, di queste cifre, se ne tiene conto nel dibattito in Italia? No: qui il dibattito si svolge solo ripetendo vecchi slogan maoisti ricopiati dai novelli conservatori. Sarebbe bello se i liberali, i democratici, magari anche i socialisti, non si facessero intimidire. Finora però non è successo.