Le procure martellano. Il governo tratta. Il doppio binario sembra aver raggiunto qualche risultato: la sospensione delle procedure di spegnimento decisa da Arcelor Mittal è palesemente un segnale di disponibilità a riprendere le trattative, del resto mai davvero interrotte pur se in segreto e senza incontri ufficiali. La pressione delle procure di Milano e Taranto cresce di giorno in giorno. Il giudizio del Tribunale di Milano sul ricorso dei commissari arriverà il 4 dicembre, in tempo per evitare comunque lo spegnimento degli altiforni. Conte elogia la linea dura della magistratura, si muove in modo da rendere evidente che Ilva comunque non chiuderà e allo stesso tempo fa arrivare alla proprietà franco- indiana messaggi sulla disponibilità del governo a trattare sia sullo scudo penale che sugli esuberi, sia pure in forma di casse integrazione e non di licenziamenti.

La strategia di Conte ha un senso chiaro. Se l'obiettivo di Mittal era, come il governo italiano sospetta, quello di acquisire Ilva per evitare che cadesse in mano alla concorrenza e poi chiuderla, la consapevolezza che così non sarà comunque, mentre trattando Mittal otterrebbe condizioni molto meno onerose di prima, dovrebbe bastare a riaprire la trattativa. Venerdì l'incontro tra Conte e il ministro Patuanelli da un lato, la proprietà dall'altro, scioglierà l'enigma. I pronostici, per quello che valgono, scommettono però sulla riapertura del dialogo e quasi certamente a ragion veduta. Non è certo un caso che l'annuncio della frenata sulla chiusura sia arrivata contestualmente all'annuncio dell'incontro di venerdì e proprio dopo un pomeriggio passato a Roma dai due massimi dirigenti della multinazionale. E anche i sindacati, a cominciare dalla segretaria Cisl Furlan, ci sperano: «Noi riteniamo che si sia riaperto da ieri uno spiraglio di speranza. Questo ci dà più tempo».

Anche nell'ipotesi più rosea, però, resterebbero in sospeso due ipoteche: una tecnica, l'altra politica. Il primo altoforno spento sarebbe dovuto essere il 2, il 13 dicembre, poi sarebbe toccato agli altri due, rispettivamente il 30 dicembre e il 15 gennaio. Il problema è che la data per lo spegnimento dell'altoforno 2 non era stata decisa da Mittal ma dal Tribunale del riesame di Taranto. L'afo 2 avrebbe dovuto essere spento il 10 ottobre dal momento che i lavori di messa in sicurezza ordinati dopo l'incidente mortale del 2015 non erano stati completati.

Il 20 settembre scorso il Tribunale del riesame aveva accolto parzialmente il ricorso dei legali di Mittal, concedendo altri tre mesi per completare i lavori. Si trattava però di una missione impossibile, data l'arretratezza dei lavori che Mittal imputa alla precedente gestione commissariale. La sentenza del riesame ordina quindi, di fatto, lo spegnimento dell'afo 2 per il 13 dicembre. L' ' invito' del Tribunale di Milano, accolto da Mittal, per evitare lo spegnimento in attesa della sentenza sul ricorso dei commissari, fissata per il 4 dicembre, non può dunque riguardare l'afo 2 la cui sorte non è più nelle mani della proprietà e anche l'ennesimo cambio di idea sullo scudo penale, con il ripristino, non servirebbe a niente. Lo spegnimento di un altoforno su tre renderà inevitabile una drastica revisione sia del piano industriale, che attualmente prevede la produzione di 6 mln di tonnellate d'acciaio all'anno fino al 2023 e di 8 mln di tonnellate dopo il 2023, sia, di conseguenza della forza lavoro. L'eventuale ' chiusura' dell'afo 2, quello che provocò l'incidente mortale del 2015 e sul quale pertanto fu aperta l'inchiesta della Procura, spingerebbe inoltre sull'orlo del burrone anche gli altri due, che non sono in condizioni migliori.

Proprio per questo Italia Viva aveva presentato due emendamenti al dl fiscale, entrambi giudicati inammissibili: quello noto sullo scudo penale ma anche un secondo che mirava ad allungare sino a 14- 16 mesi il tempo concesso per completare la messa in sicurezza dell'afo 2 prima dello spegnimento. In linea di principio, se si arrivasse all'accordo con Mittal, il governo dovrebbe varare un decreto sullo scudo penale, nel quale potrebbe trovare posto anche il nodo dello spegnimento ordinato dal Tribunale di Taranto. La seconda incognita, però, è proprio la reazione politica al decreto, faccenda che diventerebbe ancor più delicata se ci fosse di mezzo anche il blocco di una sentenza.

La capofila dei ribelli pentastellati, Barbara Lezzi, senatrice, ha infatti già detto che lei comunque non voterebbe lo scudo penale e la riunione fiume dei senatori 5S con Patuanelli, la settimana scorsa, si era conclusa con l'impegno a non far cadere comunque il governo ma, da parte del governo, anche con la promessa di non mettere la fiducia sull'eventuale decreto.

Significa che i 5S non farebbero cadere il governo anche qualora il decreto passasse solo grazie all'appoggio decisivo dell'opposizione ma che i dissidenti rivendicano il diritto di votare contro. Se ci sarà il decreto, e tanto più se riguarderà anche l'altoforno 2, la possibilità che sia poi convertito solo grazie ai voti di Lega, Fi e FdI è del tutto realistica. Il governo non cadrebbe comunque. Ma la ferita sarebbe lo stesso profondissima.