Marco Travaglio firma sul Fatto quotidiano un editoriale che sembra una rivendicazione. Proclama il diritto, a suo giudizio intangibile, al processo mediatico. Attacca le norme sulla presunzione d’innocenza. Con contorno di dileggio per la ministra Cartabia. Come ha scritto Daniele Zaccaria sul Dubbio di oggi, un quotidiano-manifesto dell’intransigenza come il Fatto si trova in questi giorni a reagire contro la botta della sentenza di Palermo. Tutto bene, nel senso che, a parti invertite, un giornale garantista farebbe lo stesso. Ma nell’altolà di Travaglio al decreto sulla giustizia mediatica c'è qualcosa che va oltre la polemica: c’è il segno di una sconfitta che incombe. Di un vento che è cambiato forse irreparabilmente. Dichiarare  “ciò che spaventa lorsignori non è più di finire in galera, ma sui giornali: cioè che si sappia quel che fanno” ha del clamoroso, e può spiegarsi solo con la logica del tutto per tutto. È la difesa di un mondo e di un modo di intendere l’informazione giudiziaria forse al tramonto. Una certificazione di sconfitta. Non possiamo essere certi che andrà così. Ma come nelle partite decisive, meglio mettere al sicuro il risultato che cantare vittoria in anticipo.