Nel drammatico sbandamento del partito di Beppe Grillo – che in pochi giorni è passato dalle sponde giustizialiste, a quelle garantiste, a quelle liberali, e poi di nuovo a quelle giustizialiste, passando anche per idee pauperiste in parte di radice ex comunista – è intervenuto ieri Marco Travaglio, direttore di quello che è considerato il giornale dei 5Stelle. Travaglio già in altre occasioni si è assunto un compito di direzione ideologica del movimento, specie nei momenti di crisi. L’idea di Travaglio: Frattocchie a 5 stelle Non per “sapere” ma per “potere”
Stavolta Travaglio cerca di indicare una via d’uscita, sulla base di una analisi politica tutt’altro che improvvisata. Ma forse monca.
Travaglio sostiene che il punto debole del movimento ( o del partito) di Grillo è l’assenza di un gruppo dirigente, e addirittura di personale politico. Mi pare difficile dargli torto. Intorno a Grillo e Casaleggio non c’è nulla, neppure l’alito di un pensiero, né gente in grado di far valere la propria esperienza politica, o la saggezza, o almeno l’intelligenza. Dice Travaglio che questa è la palla al piede che rischia di portare al crash un movimento che invece avrebbe grandi potenzialità per il solo fatto di essere l’unico movimento politico seriamente e organicamente contrapposto all’establishment.
Establishment è una parola inglese molto usata in politologia. Establishment può essere tradotto con due espressioni, simili ma non uguali: gotha del potere o invece classe dirigente. Non è esattamente la stessa cosa.
Travaglio osserva che è difficile opporsi all’establishment con speranza di successo se non si è in grado di indicare un nuovo assetto. Per questo tutto è perduto se non si costruisce una classe dirigente attorno a Grillo. Giusto. E a questo scopo, nell’editoriale che ha pubblicato ieri sul “Fatto Quotidiano” ( dai toni molto dimessi e tristi, assai diversi da quelli baldanzosi che in genere contraddistinguono i suoi scritti), non si è limitato a ripetere alcuni degli slogan usati dalla ditta Casaleggio nelle ultime ore ( tipo quello sul potere terrorizzato dalle giravolte grilline) ma ha proposto una soluzione concreta e un po’ stupefacente: organizzare le scuole di partito a 5 stelle. Chiaramente un po’ sulla falsariga delle “scuole quadri” che nel secondo dopoguerra e fino a tutti gli anni ottanta venivano organizzate dal Pci ( e in parte, ma in modo meno vistoso e meno capillare, dalla democrazia Cristiana e dal partito socialista).
E’ una buona idea? Beh, ha dei punti deboli. Provo a dirlo in modo molto schematico. Le scuole di partito hanno bisogno di tre cose: un partito di massa, una idea ( o un’ideologia) e degli insegnanti di valore.
Al momento al Movimento 5 Stelle manca un partito. Si intende per partito una organizzazione molto vasta, estesa su tutto il territorio nazionale, con dei luoghi di ritrovo e di discussione che radunano quasi quotidianamente migliaia di militanti. Con la possibilità , da parte dei militanti, di discutere, esprimersi, di contare, di eleggere dei rappresentanti, di tenere dei congressi. E’ chiaro che una chat sul web, o un indirizzo di posta elettronica o una piattaforma per votare ( un po’ come fa la Gazzetta dello Sport coi sondaggi sul migliore in campo) sono qualcosa di molto più semplice di un partito, ma anche di completamente diverso. Un partito costruisce sulla sua dimensione di massa la propria cultura politica. Una chat costruisce al massimo una tecnica informatica, un buon uso del ctrl, o dell’alt, o del cmd.
Secondo problema: gli insegnanti. Le scuole di partito del Pci ( la più celebre era quella delle Frattocchie, vicino Roma) funzionavano anche sul fatto che gli insegnanti erano di buona qualità. Molti di loro avevano una cattedra all’università, o erano presidi di facoltà o rettori, erano conosciuti in tutto il mondo. Qualche nome appena: Lucio Lombardo Radice, Eugenio Garin, Sascia Villari, Cesare Luporini, Ernesto Ragionieri, Nicola Badaloni... Beh, è difficile immaginare una scuola di partito dove gli insegnanti sono Di Battista, o Di Maio, o lo stesso Travaglio.
Eppure sono convinto che questi due problemi, in qualche modo, potrebbero anche essere superati. Il terzo problema è il più ostico: l’assenza di una idea politica.
Le idee politiche sono cose piuttosto complicate, generalmente maturano dopo anni e secoli, alla loro costruzione partecipano centinaia di grandi intellettuali. E’ stato così per il liberalismo, per il marxismo e anche per il socialismo democratico, che a occhio e croce sono i tre grandi filoni di idee politiche che hanno segnato la modernità. Ma è stato così, seppure con tempi e in forme più ridotti, per movimenti recenti, come il movimento ecologista. Ed è stato così anche per la formazione dei sistemi di idee più reazionari, che oggi sono alla base del funzionamento dei movimenti europei radicalmente di destra.
Il problema di fondo del grillismo – che forse Travaglio non vede – è che, al momento, è del tutto privo di un sistema di idee e quindi di una linea politica. Come è stato largamente dimostrato dalle danze di questi giorni tra Goffredo Parise, Nigel Farrage e l’europeismo liberale ispirato da tipi come Einaudi e Mario Monti. Ora la domanda è semplice: si può mettere in piedi una scuola di partito che insegni metodi di poterete del tutto privi di linea politica? E cioè, se capiamo bene, che insegni pure e semplici tecniche per la conquista e l’esercizio del potere?
Forse si può. Forse è questa la post politica. La rinuncia dichiarata ai valori, ai programmi. La dichiarazione di lotta puramente per il potere. La concezione di una politica finalmente libera dalla zavorra delle idee e che può con agilità e totale camaleontismo dedicarsi puramente al potere.
E’ questa la modernità? Forse sì. E’ bella? Forse no.