C’ è qualcosa che non torna nei numeri diffusi ieri dall’Istat. Com’è possibile che diminuiscano i disoccupati se nel secondo trimestre di quest’anno il pil ha avuto crescita “zero”? Insomma, se non si produce ricchezza qual è l’azienda che assume?

Illusione ottica La verità è nascosta nelle tabelle dell’Istat. Secondo il blog “Phastidio. net”, il calo della disoccupazione è soltanto «un’illusione ottica». La discesa del tasso al 9,7% non è legato alla creazione di nuova occupazione, ma solo perché i più giovani hanno smesso di cercare un lavoro.

Dicono le tabelle Istat che il miglioramento del tasso di disoccupazione è legato alla circostanza che 29 mila persone hanno smesso di cercare lavoro; il dato è per lo più concentrato nella classe d’età che va dai 15 ai 24 anni. Peccato che proprio questa fascia d’età segnala che 28 mila persone hanno smesso di cercare lavoro e si sono esiliati nella categoria “inattivi”.

Ecco spiegata la discesa del tasso di disoccupazione. Molto probabilmente, nessuno ha fatto vedere le tabelle Istat sul mercato del lavoro al ministro Toninelli. Altrimenti, il ministro delle Infrastrutture non avrebbe detto: «Bene così! Nonostante il ' catastrofismo' di certi giornali, cominciano a vedersi concretamente gli effetti positivi della politica economica a 5 Stelle. Molto bene soprattutto l'aumento degli occupati, il calo della disoccupazione giovanile e la crescita del lavoro tra le donne. Il cambiamento è in atto e lo porteremo avanti fino in fondo».

Preoccupazioni per il Pil Tant’è. Al di là delle posizioni politiche, è il dato sulla crescita che crea apprensione: e non solo al governo. Il pil – ha ufficializzato l’Istat – è fermo. Cioè, non cresce. Lo “zero” certificato è l’andamento tendenziale previsto per il 2019. E c’è solo da augurarsi che nei prossimi due trimestri, la crescita rimanga neutra. Perché se dovesse calare, il dato annuale passerebbe in negativo. Per il capo economista della Confindustria, Andrea Montanino, «ormai l'anno è compromesso». Con inevitabili ripercussioni anche sui conti pubblici.

Nell’ultimo aggiornamento al Documento di economia e Finanza ( Def) il governo ha stimato la crescita di quest’anno allo 0,2%. Il calo ( dallo 0,2 allo 0) comporta un peggioramento del deficit, destinato così a salire; anziché a scendere.

Per i bizantini regolamenti europei, finchè il pil resta positivo ( e la crescita zero è considerata positiva) il governo non può chiedere maggiore flessibilità sui conti pubblici. Ma se il dato del pil dovesse diventare negativo, Tria potrebbe chiedere l’applicazione delle clausole previste dal Patto di Stabilità proprio in caso di congiuntura negativa.

Il debito Ma se per i conti pubblici un pil negativo potrebbe concedere spazi d’azione per il governo sul fronte del deficit, il dato finisce per appesantire la condizione del debito. Una crescita zero lo fa aumentare e fa accendere più di un allarme nelle agenzie di rating. E poco importa che il rallentamento economico colpisca tutte le economie europee. Eurostat ha certificato che la crescita nel secondo semestre dell’anno si è dimezzata rispetto al primo: dallo 0,4 allo 0,2%.

Ieri lo spread è rimasto appena sotto i 200 punti base, anche per le attese delle scelte di politica monetaria della Federal Reserve. Ma in autunno arriveranno i giudizi delle agenzie di rating. E senza fatti nuovi il rischio di un ulteriore downgrading è davvero dietro l’angolo. Sarebbe un errore però pensare che il dato Istat sul pil finisca per avere ripercussioni esclusivamente finanziarie.

Colpisce la vita quotidiana. Come ricorda il centro studi Pormotor, «l'Italia è l'unica economia avanzata che, non solo non ha ancora raggiunto il livello di Pil anteriore alla crisi iniziata nel 2008, ma, anzi, rispetto al 2007 accusa ancora un calo che nel 2018 era del 4,3% e che nel 2019 non si sta certo riducendo» . Il presidente di Pormotor, Gian Primo Quagliano, osserva che: «Ovviamente la dinamica del Pil accentua il declino del Paese che emerge con chiarezza anche dai dati sul Pil pro capite che nel 2001 superava del 18,8% il livello medio dell'Unione Europea, che nel 2018 era sceso al di sotto di questo livello del 5,3% e che nel 2019 scenderà ancora».