PHOTO
L’approvazione da parte della Camera dei Deputati e la prossima, scontata, deliberazione del Senato sul decreto-legge che autorizza la fornitura “di mezzi, materiali ed equipaggiamenti militari in favore delle autorità governative dell’Ucraina”, chiude la partita parlamentare della conversione in legge, assicurando anche l’avallo dell’organo della rappresentanza popolare alle scelte del governo. E chiude, per il momento, il dibattito sulla compatibilità di tale scelta con le norme costituzionali in materia di conflitti armati. Ma non sono pochi coloro che hanno manifestato perplessità sulla legittimità della scelta, soprattutto perché il dibattito sul rispetto della Costituzione in materia di guerra e conflitti armati ha una storia antica. Quantomeno fin dalla ratifica del Trattato Nato nel luglio del 1949 e, via via, in occasione di ogni impegno militare assunto dall’Italia nei decenni della vita repubblicana. Qualche chiarimento può essere allora opportuno. Il dibattito ruota sulla portata normativa dell’art. 11 della Costituzione, frequentemente evocato. Questo, a sua volta, esprime chiaramente il ripudio della guerra “come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. A tale prima proposizione si aggancia la successiva, che consente limitazioni di sovranità qualora si tratti di perseguire l’obiettivo di assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni, mediante l’adesioni a organizzazioni internazionali. Sull’art. 11 si è sviluppato un amplissimo dibattito, non ancora sopito nemmeno tra gli addetti ai lavori, mentre, purtroppo, è mancata l’occasione di pronunzie definitive da parte della Corte costituzionale.In questo quadro la domanda se la fornitura di armi costituisca una violazione dell’art. 11 è certamente legittima, ma la risposta negativa, a mio parere, altrettanto netta.Innanzitutto va chiarito che il ripudio della guerra non costituisce un’affermazione solamente programmatica o ideale, ma ha un preciso valore giuridico che non si può ignorare. E tale “ripudio” non attiene solo alle guerre in cui l’Italia sia un paese belligerante, ma ad ogni guerra che sia strumento di offesa alla libertà degli altri popoli o sia usata come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”. In altre parole l’art. 11 esprime una scelta di valore: “ripudio” delle guerre offensive o usate per risolvere conflitti internazionali, politici, economici, giuridici. Tale qualificazione vale per ogni tipo di guerra ovunque combattuta, e dunque anche per il conflitto bellico scatenato dalla federazione russa, atteso il suo carattere certamente offensivo. Si potrebbe dire: ma che senso ha che l’art. 11 si occupi anche di guerre che non riguardano direttamente l’Italia?Ha senso perché da quella scelta di valore discendono delle conseguenze giuridiche per l’Italia. La prima conseguenza è che in nessun caso, proprio per la previsione dell’art. 11, l’Italia sarebbe potuta scendere in guerra alleandosi con l’aggressore.In secondo luogo, la previsione che il ripudio riguardi solo la guerra “offensiva”, giustifica che si possa utilizzare la forza militare nell’ambito di organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le nazioni. E, infatti, nell’ambito, ad esempio, dell’ONU, che è certamente un’organizzazione rivolta a favorire la pace e la giustizia tra le nazioni, l’Italia partecipa anche ad attività belliche volte “reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace” (art. 1 Carta ONU e ancora più l’intero capo VII). Il che conferma, con buona pace dei numerosi sostenitori della tesi contraria, che l’essere organizzazione per la pace e la giustizia tra le Nazioni non è incompatibile con l’uso delle armi per garantire quella pace. Insomma il “pacifismo” cui si ispira la Costituzione italiana non è né estremo né assoluto.Non lo è perché certamente la Costituzione non esclude la guerra difensiva della sovranità italiana (art. 52 della Costituzione: dovere di difesa della Patria sacro e inviolabile), ma non lo neanche con riferimento alle operazioni di sostegno alle vittime di guerre di aggressione, nei limiti necessari a consentirne la difesa e purché non si risolvano in uno strumento di offesa alla libertà di altri popoli o di risoluzione di controversie “meramente” politiche, giuridiche o economiche. Tanto più se ciò avviene sotto l’ombrello di organizzazioni internazionali. Nel caso della guerra ucraina, si potrebbe discutere se tale ombrello ci sia, mancando una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Anche se quella risoluzione manca perché, in questo caso, lo Stato aggressore (la Russia) detiene un potere di veto e quindi non accetterebbe mai una risoluzione contro di sé. Tant’è che l’ONU è ricorsa a una deliberazione dell’Assemblea Generale che ha, a larghissima maggioranza, condannato l’attacco. Insomma, gli esperti di diritto internazionale ci diranno se in questo caso il principio della necessaria deliberazione del Consiglio di sicurezza potesse essere sostituito da una deliberazione dell’Assemblea (prassi già utilizzata in passato). Ma quel che conta è che la decisione italiana di intervenire a sostegno dello Stato aggredito non viola comunque, nei termini che ho indicato, l’art. 11 della Costituzione. Essa è, anzi, proprio conseguenza del ripudio delle guerre offensive e contrarie agli obiettivi di pace cui fa riferimento quella disposizione.Infine c’è da dubitare che fornire armi all’Ucraina, nella cornice dei principi dell’art. 11, sia addirittura tecnicamente assimilabile all’entrare in guerra. Si tratta di attività che, infatti, secondo gran parte della dottrina internazionalistica non determinano di per sé l’acquisizione dello status di “stato belligerante”, ma possono semmai inquadrarsi negli “atti ostili” verso lo Stato (la Russia) destinato a subirne le conseguenze nell’ambito del conflitto. Ed è infatti così che le autorità russe le hanno qualificate rivolgendosi minacciosamente all’Italia.Insomma l’italia non è in guerra, nessuno stato di guerra è stato dichiarato e la scelta politica (su cui ovviamente si è liberi di dissentire politicamente) di sostenere, anche con materiale militare lo Stato aggredito, non costituisce, nella cornice dell’art. 11 Cost., una violazione della Costituzione.