C‘è un disallineamento tra desideri e convenienze da un lato, e disamina effettiva della realtà dall’altro, nel modo in cui sono state valutate le affer-mazioni di Sergio Mattarella riguardo la legge elettorale e gli impegni del 2017. E’ come se le considerazioni del presidente della Repubblica fossero fuori sincrono rispetto alle parole d’ordine che i leader politici continuano a lanciare nei confronti dell’opinione pubblica. Infatti i moniti del capo dello Stato sulla necessità che Camera e Senato abbiano leggi elettorali armonizzate e congrue - e non essere il risultato di un taglia e cuci sul corpo dell’Italicum una, e l’altra su quello del Porcellum - e il fatto che l’Italia sarà chiamata a organizzare e partecipare a decisivi appuntamenti sul futuro della Ue, sono stati letti come altrettanti endorsement al premier Paolo Gentiloni affinché prosegua il suo mandato fin che possibile, non escluso neppure il traguardo della scadenza naturale della legislatura nel 2018. Insomma un Quirinale disposto a tutto e pronto a cogliere qualunque appiglio pur di far andare avanti il governo ed evitare di indire elezioni politiche che invece sono l’obiettivo di tutte le più importanti forze politiche.

Si tratta di una lettura allo stesso tempo consolatoria e fuorviante. Come hanno infatti ben compreso tutti, la legislatura è finita domenica 4 dicembre, quando il treno della riforme guidato da Matteo Renzi si è schiantato contro il muro dei 19 milioni e passa di italiani che hanno votato No. Il risultato è che qualunque siano le iniziative politiche condotte in porto fino all’indizione dei comizi elettorali saranno nient’altro che tappe di avvicinamento ad un epilogo già scritto. Di conseguenza è evidente che il nodo vero non è la durata del governo, bensì il “dopo”. Dopo il verdetto elettorale; dopo che con il nuovo sistema saranno stati misurati i rapporti di forza tra partiti e schieramenti.

E’ su quel passaggio che si appuntano le preoccupazioni del Colle. Comprensibilmente. Se infatti la legge elettorale dovesse risultare sbilenca, se cioè i partiti si limitassero ad un gioco di rimessa rinunciando ad un’opera di assestamento e riequilibrio andando a votare per Montecitorio con un meccanismo prevalentemente maggioritario come risultato degli interventi della Consulta il prossimo 24 gennaio, e per il Senato con un altro prevalentemente proporzionale, il pericolo che ne risulti un Parlamento incapace di esprimere una maggioranza solida ed un governo incerto diventa altissimo. Che si fa a quel punto, si scioglie di nuovo? Oppure ci si acconcia ad uno scenario alla spagnola, con spaccature nei partiti, maggioranze pencolanti, governi di minoranza e, alla fine, altre elezioni a raffica? E’ un panorama che sul Quirinale provoca fortissimi brividi, visto che la responsabilità ultima delle scelte ricadrebbe sempre e comunque sulle spalle di Mattarella.

Non basta. Quando parla di quello prossimo come di un anno «difficile», il Presidente della Repubblica si riferisce anche e soprattutto al fatto che sarà un anno elettorale per i due più importanti Paesi europei: Francia e Germania. Un’eventuale destabilizzazione dell’Italia potrebbe avere a ricasco effetti perniciosi per la vittoria delle forze anti- sistema e anti Ue. E qui arrivano le preoccupazioni sul modello elettorale che deve essere adottato. Matteo Renzi insiste sul Mattarellum spalleggiato dalla Lega mentre Berlusconi, cui in quel caso spetterebbe il poco desiderabile ruolo di agnello sacrificale, si è messo di traverso. Grillo, come solito, si tiene al di fuori: preferisce vedere le altre forze scannarsi e poi intervenire per raccoglierne i cocci. In un quadro siffatto, che il Mattarellum possa arrivare al traguardo è difficile.

Più agevole - ma non per questo meno gravido di conseguenze e danni collaterali - ripiegare su un sistema di impianto proporzionale. Ebbene se si dovesse confermare l’equilibrio del 2013, con tre contenitori sostanzialmente assimilabili in termini di consensi, le maggioranze possibili risulterebbero solo di due tipi: accordo Pd- Forza Italia da un lato, oppure intesa Cinquestelle- Carroccio, magari limitata ad alcuni aspetti programmatici, dall’altro. Con in testa le problematiche continentali e nel rispetto totale degli orientamenti dei cittadini, è facile immaginare quale delle due opzioni sarebbe vista di buon occhio al Colle. Ma come si potrebbe arrivare ad urne chiuse ad una sintonia tra due partiti reduci da un preliminare e logorante braccio di ferro sulle nuove regole di voto? Due partiti che hanno messo in campo opzioni tra di loro divaricate e hanno in testa due opposti modelli di governabilità? Sia chiaro: il riferimento non vasle solo per Pd- Fi ma anche per FI- Lega o Lega- Cinquestelle. Sono elementi sui quali, per rispetto istituzionale e tutela assoluta del suo ruolo di arbitro imparziale, Mattarella non spende neanche un’alzata di sopracciglio. Tuttavia sono dati realistici, che col passare delle settimane acquisiranno uno spessore politico sempre più consistente. A seconda di come si svolgerà il confronto- scontro nelle prossime settimane, infatti, si disegnerà il perimetro del dopo urne. Occupati come appaiono ad una cura ossessiva del proprio “particulare”, i leader politici sembrano disattenti rispetto alle possibili conseguenze delle loro scelte. Prede da una deriva per lo più propagandistica, più d’uno aspetta il responso della Corte costituzionale per poi trasferirlo pari pari alla campagna elettorale. Abdicando ancora una volta allo sforzo della politica, ai compiti che spettano ad una classe dirigente che come bussola dovrebbe sempre avere la salvaguardia dell’interesse generale.