C'era una volta la coerenza. Oddio, nei fatti a volte c'era e a volte non c'era. Non bisogna esagerare nel beatificare i bei tempi andati. Le esigenze di carriera c'erano anche allora e di politici capaci di spostarsi con la rapidità del lampo dal civettamento con la sinistra all'ala destra e viceversa non ne mancavano certo. Basti dire che Fernando Tambroni, passato alla storia come premier del solo governo sostenuto dal Msi neofascista nella prima Repubblica e abbattuto a futor di piazza era stato fino a quel momento la sponda della sinistra nella Dc, o che il generale De Lorenzo, quello del ' rumor di sciabole', insomma del golpe del 1964 era tra gli alti gradi quello più apprezzato dal Pci.

Però la coerenza c'era lo stesso, nel senso che campeggiava ai primissimi posti nel listino di borsa dei valori politici. Le giravolte erano guardate con sospetto nei palazzi come nei bar. Bisognava, se del caso, preparale, giustificarle, sostenerle con strategie politiche ariose a raffinate. Da questo punto di vista i tempi si sono letteralmente capovolti. La piroetta, persino nell'arco di appena 24 ore, è peccatuccio veniale. Nessuno potrebbe permettersi di tirare la prima pietra e comunque gli elettori non puniscono neppure con il brecciolino. Così va il mondo. Così fan tutti.

La tendenza non è nuova ma certo la crisi d'agosto ha portato la sagra dell'incoerenza a vette mai violate prima. Praticamente non c'è nessun attore in camp che non abbia fatto l'opposto esatto di quanto asserito per settimane, mesi, anni e persino decenni. Il catalogo è noto: non c'è bisogno di ricapitolarlo. Il bello è che a questa legittimazione della più estrema disinvoltura si accompagna un rigidissimo richiamo alla coerenza nel ' fare ciò che si dice'.

Peccato che si tratti di due atteggiamenti inconciliabili: la strategia dell'incoerenza nelle alleanze e nei ' posizionamenti' impone infatti comunque di mediare con l'alleato di turno, e qualsiasi mediazione impedisce di ' fare quel che si è detto', almeno non alla lettera. La somma dei due fattori, possibilità di capovolgere le posizioni sullo scacchiere della politica in pochi secondo e necessità di mostrarsi come chi è pronto a tutto pur di ' fare quel che si è detto' convergono nel trasformare il panorama politico in una sala da ballo dove i giri di valzer sono necessariamente vertiginosi, continui e rapidissimi.

E' forse possibile rintracciare una data precisa all'origine del ' nuovo corso' ed è senza dubbio facile individuare le spinte che la hanno portata a imporsi sempre più. La data è il 26 gennaio 1994. Due giorni prima su mandato di Bossi, capo indiscusso della Lega, il suo braccio destro Maroni aveva siglato un accordo di governo con Mario Segni, vincitore del referendum del 1993. Bossi lo stracciò 48 ore dopo per sostituirlo con il patto con Berlusconi, che avrebbe poi cancellato nel dicembre dello stesso anno. La spiegazione del ripensamento, di fronte agli stati generali del Carroccio fu in schietto stile bossiano: ' Lo avevo detto a Bobo: togliti di mezzo che sto per tirare tiro'. Accompagnata dall'elegante gesto dell'ombrello rivolto all'appena affondato Mariotto.

Era l'impostazione del ' Senatur', all'epoca inaudita nella politica italiana: massima rigidità negli obiettivi strategici, il federalismo estremo, totale duttilità, senza perdere tempo con la vetusta ' coerenza', nella tattica quotidiana. A questo si è accompagnata l'ambiguità di una legge elettorale, quella varata nel 1993, il Mattarellum, che mischiava maggioritario e proporzionale rendendo così possibili i cambi di alleanza propri del proporzionale anche in un sistema che si voleva maggioritario, e cioè impermeabile a quei cambi.

In questo senso la formula ' né di destra né di sinistra', inaugurata proprio dalla Lega di Bossi negli anni ' 90 ma dilagata poi con l'M5S e, nei fatti, con il Pd di Renzi, altro non è che la consacrazione di una politica che, in nome del pragmatismo e del ' tramonto delle ideologie' pretende di guardare solo al sodo, al risultato concreto, al ' mantenimento delle promesse' e sotto questa bandiera è pronta a tutto. La formula ha attecchito. Il valore della coerenza nella Borsa politica è precipitato.

Allearsi con il peggior nemico per poi riscoprirlo come inconciliabile rivale è norma accettata dagli elettori stessi in nome del ' risultato'. Peccato che non funzioni, perché in politica i risultati richiedono una solidità che non si concilia con il caleidoscopio dei posizionamenti mutevoli ma anche perché intorno ai diversi ' forni' che ogni partito ha o sogna di avere a disposizione si articolano inevitabilmente le lacerazioni interne, con effetto paralizzante e spesso i posizionamenti interni finiscono per riflettere più le guerre intestine che il perseguimento dell' ' impegno da mantenere'.

Con un effetto in più: la totale delegittimazione dell'intero sistema politico, giudicato per definizione falso e inaffidabile. E' un processo che si è già spinto molto avanti. La messa in scena un po' allucinante che si sta svolgendo in questi giorni potrebbe dare alla credibilità del sistema politico complessivo il colpo di grazia.