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Adesso che tutte le carte sono state scoperte e messe sul tavolo bene in vista, ciò che più sconcerta è quel che già si sapeva: di tutti i Paesi dell’eurozona non ce n’è uno che intervenga a sostegno dell’Italia. Nè la riproposta lega Anseatica, né il gruppo di Visegrad, né tanto meno gli alleati mediterranei tradizionali o il binomio franco- tedesco si spendono se non per giustificare almeno per esprimere comprensione per le ragioni italiane. Sarà colpa della campagna elettorale per le elezioni europee e delle varie strumentalizzazioni, oppure responsabilità reciproche di mancato ascolto: fatto sta che nello scontro con la Ue la maggioranza gialloverde procede da sola in splendido e, forse, inquietante isolamento rispetto agli altri partner continentali.
Non è una sorpresa, appunto. Era chiaro che il ping pong polemico delle scorse settimane, non avrebbe lasciato spazio a esiti diversi. Salvini e Di Maio non hanno aperto alcuno spazio di manovra e da Bruxelles la chiusura è stata altrettanto netta e senza appello.
E’ evidente che si scontrano due impossibilità. La prima è quella del governo Lega- M5S che non solo nel braccio di ferro contro l’Europa ritrova quello smalto e quella compattezza che in praticamente tutte le altre occasioni di governo smarrisce; ma soprattutto in nessun caso può permettersi di rinunciare ai due capisaldi politico- comunicativi della revisione della Fornero e del reddito di cittadinanza, in quanto il costo in termini di consenso di una eventuale marcia indietro rischierebbe di risultare salatissimo. Salvini e Di Maio, come è stato ampiamente rilevato, vogliono andare in campagna elettorale comodamente seduti sul treno lanciato a tutta velocità del rifiuto ai vincoli del Fiscal compact e dell’austerità targata Junker e affini, convinti di poter capitalizzare la contrapposizione in termini di voti.
Sul fronte opposto, la Ue è pervasa da un medesimo sentimento. La Commissione è guardiana dei Trattati e non può essere lei ad autorizzare il loro non rispetto. In più, altri Paesi hanno già fatto sforzi consistenti per rispettare le regole del Patto di stabilità: se ora prevalesse un atteggiamento lassista, potrebbe avviarsi una reazione a catena di critiche e risentimenti tale da diventare ingestibile.
Insomma è un dialogo tra sordi. Ognuno dei due contendenti alzerà il volume delle critiche all’avvicinarsi dell’apertura dei seggi. Ma nessuno presterà la benché minima attenzione alle ragioni dell’altro.
E dopo? Che succederà una volta chiuse le urne? Inutile avventurarsi in previsioni che minacciano di avere la conformazione di profezie. Meglio concentrarsi su quel che sta già accadendo. Il primo dato da considerare è che il muro contro muro ha provocato la reazione dei mercati e lo spread italiano è risalito superando di una decina di punti quota 300. Siamo fortunatamente ancora lontani dai picchi drammatici di fine 2010inizio 2011, quando il differenziale con i Bund tedeschi arrivò a 600 punti e il governo Berlusconi fu spazzato via. Toccando ferro la speranza è che uno scenario così fosco non si ripeta. Resta il fatto che il livello attuale dello spread aumenta di alcuni miliardi la spesa che lo Stato italiano deve pagare per gli interessi. Significa che già adesso una parte non trascurabile della “manovra del popolo” è finita inghiottita nelle spire del debito pubblico. Varrebbe la pena di spenderci una riflessione: possibilmente ragionata, silenziando gli ultrà di entrambe le parti.
Il secondo elemento è che l’isolamento di stampo tutto politico che il resto della Ue inalbera verso l’Italia fa sì che attorno al nostro Paese venga steso un cordone che serve sia ad evitare un contagio che produca un corto circuito economico, sia a lasciarci in un angolo nel momento in cui si attiverà la procedura di infrazione. Vuol dire che tutti quelli che in Italia scommettono sul fatto che l’Europa alla fine ci lancerà una ciambella di salvataggio perché non siamo la Grecia e siamo troppo grandi per fallire, rischiano di perdere l’intera puntata. Il fossato che Bruxelles ci sta scavando attorno serve appunto a fare in modo che le difficoltà italiane non si riverberino sul resto dell’Eurogruppo costringendo a interventi che evitino reazioni di dissesto a catena. Se soli ci piace essere, soli la Ue ci lascerà. Non è una questione strettamente contabile o di “letterine” che fanno il giro delle varie capitali. La realtà è che il peso politico dell’Italia, già non eclatante, risulterà vieppiù diminuito. Uno dei due tra Roma e Bruxelles, sta commettendo un errore colossale. In pochi mesi, si scoprirà chi è.