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Ancora una volta, uno dei danni maggiori nel corso di un conflitto – in questo caso quello tra Hamas ed Israele – è provocato dalla disinformazione che impazza sui giornali e nelle televisioni. «Il punto di partenza che sta mancando al dibattito politico e mediatico di questi giorni – dice al Dubbio il professor Triestino Mariniello, ordinario di diritto penale internazionale presso la Liverpool John Moores University – è l’analisi del contesto. Anche da un punto di vista giuridico del diritto il contesto internazionale è fondamentale. Non si possono banalizzare in chiave giuridica le violazioni, senza inquadrarle nella giusta dimensione in cui vengono poste in essere. Ripeto sempre questo concetto ai miei studenti». Mariniello è anche componente del team di rappresentanza legale delle vittime di Gaza davanti alla Corte penale internazionale.
Professor Mariniello, contesto e violazione formano un binomio indissolubile per comprendere quanto sta accadendo?
Certo. Contesto e violazioni del diritto umanitario devono sempre andare di pari passo. Il contesto di cui parliamo è quello della Striscia di Gaza, dove c’è un blocco posto in essere dalle autorità israeliane, potenza occupante. Blocco, fondamentalmente, significa controllo dei confini, controllo dell’ingresso e dell’uscita delle merci, dei confini terrestri, dei confini via mare e via aerea. Il blocco indica mancanza di libertà di movimento per i residenti nella Striscia di Gaza. Una situazione imposta per sedici anni dalle autorità israeliane, dopo la vittoria elettorale di Hamas. Le Nazioni Unite hanno definito il blocco come una forma di “punizione collettiva” o di segregazione della popolazione civile. Insieme al numero delle offensive militari portate avanti dal 2008 in poi nei confronti della Striscia il blocco e le guerre a Gaza hanno causato una catastrofe umanitaria. Stiamo parlando di un territorio definito dalle Nazioni Unite una prigione a cielo aperto. Parliamo di un territorio in cui il 97% dell’acqua non è potabile. Questa situazione esisteva già prima dello scoppio dell’attuale guerra. A Gaza il 58% della popolazione deve vivere con gli aiuti umanitari.
Quale regime giuridico si applica al contesto che stiamo analizzando?
Il blocco ha causato un collasso economico e una crisi del sistema sanitario. Ai sensi del diritto internazionale, come riconosciuto dalla Croce Rossa o dalla Cpi, il blocco si configura come una vera e propria occupazione di Gaza e non soltanto della Cisgiordania. Il regime giuridico che si applica è quello del diritto umanitario internazionale. Nutro, invece, come altri accademici ed esperti delle Nazioni Unite, qualche dubbio sul ricorso alla fattispecie di terrorismo nel contesto attuale. Non per sminuire la gravità degli attacchi dei gruppi armati palestinesi, sono sotto gli occhi di tutti, che configurano dei crimini di guerra. La fattispecie incriminatrice di terrorismo è estremamente ambigua a livello internazionale. Non esiste una definizione di terrorismo universalmente valida, perché dall’ 11 settembre 2001 ad oggi abbiamo visto quali sono i rischi di una guerra al terrorismo, che si è mossa sempre al di fuori dei parametri della legalità internazionale, nell’assoluto arbitrio. Pensiamo al caso di Guantanamo. A ciò si aggiunga anche un altro aspetto.
A cosa si riferisce?
È fondamentale riportare la discussione anche per quanto riguarda Gaza, a prescindere da chi sia responsabile degli attacchi, nei parametri della legalità internazionale. Questo significa riconoscere precise garanzie a tutte le parti coinvolte. La guerra al terrorismo serve invece a spostare il tutto fuori da questo parametro della legalità e a creare uno stato di eccezione. Quanto sta accadendo in questi giorni si ricollega a violazioni del diritto internazionale umanitario poste in essere tanto da Hamas quanto dalle autorità israeliane. In merito alle violazioni del diritto umanitario da parte di Israele, la lista è lunga. Si possono configurare crimini di guerra, crimini contro l’umanità e, come sostengono diverse organizzazioni internazionali, il reato di genocidio.
I crimini di cui stiamo parlando potranno essere effettivamente perseguiti?
In teoria sì. Rientrano nella gestione della Corte penale internazionale. La Palestina si è rivolta per la prima volta alla Cpi nel 2009, dopo l’operazione “Piombo fuso”. Ma soltanto nel 2021 la Corte ha aperto formalmente le indagini, relative ai crimini di guerra commessi nell’ambito della guerra del 2014 e successivamente contro la popolazione di Gaza. Ci sono indagini che riguardano pure i reati commessi dalle autorità israeliane nella Cisgiordania in riferimento alle colonie illegali. Il procuratore Karim Khan ha ricordato in una intervista di qualche giorno fa alla Reuters che la Cpi ha giurisdizione anche su quello che sta avvenendo adesso. Se decidesse, considerata l’ampia discrezionalità di cui dispone, il procuratore potrebbe quindi intervenire. Il filone di indagine riguarderebbe i crimini di guerra, commessi da entrambe le parti, i crimini contro l’umanità e potenzialmente anche il genocidio.
Ci può fare degli esempi concreti?
La dichiarazione di guerra totale, l’assedio totale dichiarato dalle autorità israeliane, è una grave violazione del diritto internazionale umanitario e probabilmente un crimine di guerra. Deriva dalla privazione dei beni essenziali, acqua, cibo, energia elettrica, nei confronti della popolazione di Gaza. Gli attacchi indiscriminati, senza distinguere tra civili e obiettivi militari, nei confronti della popolazione configurano un crimine di guerra. Non tralasciamo, infine, l’uso eccessivo della forza. L’ordine di sfollamento delle autorità israeliane, volto a trasferire più di un milione di persone dal Nord al Sud della Striscia di Gaza, configura un crimine di guerra e un crimine contro l’umanità, dato si attua un trasferimento forzato della popolazione.