Questa settimana è ritornata all’attenzione della Corte costituzionale (relatore: Viganò) la questione di legittimità costituzionale sollevata nel 2020 dalla Corte di appello di Milano rispetto agli articoli 18 e 18- bis della legge numero 69 del 2005, nella parte in cui non prevedono quale motivo di rifiuto di consegna del destinatario del mandato d’arresto europeo ragioni di salute croniche e di durata indeterminabile che comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona. Nel 2019 il Tribunale municipale di Zara, Croazia, ha emesso un mandato di arresto europeo nei confronti di un cittadino italiano D. L. E., perché sospettato di aver commesso nel 2014, sul territorio croato, il reato di detenzione a fini di spaccio e cessione di sostanze stupefacenti.

Il procuratore generale di Milano ha chiesto l'applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari. Tuttavia l’uomo era portatore di patologie psichiatriche, aveva tentato un suicidio nel 2013 ed era stato, tra l’altro, anche sottoposto ad un Tso, come riportato nella documentazione prodotta dal suo legale Nicola Canestrini. A D. L. E. non viene applicata alcuna misura e si respinge la richiesta di consegna. La Corte ha disposto una perizia psichiatrica che concludeva nel senso che «la capacità di intendere e volere di E. D. L., portatore di patologia psichiatrica, era al momento dei fatti assente per scompenso acuto; nell'attualità egli è persona che conserva sufficienti capacità per partecipare al giudizio». Inoltre «il periziando ha necessità di cure, la cui interruzione rappresenterebbe un possibile pregiudizio per la sua salute e per il percorso da quattro anni intrapreso». Il perito evidenziava anche un forte rischio suicidiario, qualora fosse finito in carcere in Croazia. Appare evidente, quindi, che l’uomo «non è individuo adatto alla vita carceraria, necessitando di poter mantenere il percorso iniziato e che si può dire sia oggi avviato ma certamente ben lontano dall'essere concluso». Sulla possibilità di guarigione il perito ha sollevato diverse perplessità.

La Corte d’appello di Milano ha considerato, da un lato, che l’esecuzione del mandato d’arresto europeo avrebbe interrotto il trattamento di E. D. L. e avrebbe determinato un aggravamento del suo stato generale con un concreto rischio per la sua salute, con possibili effetti di eccezionale gravità, tenuto conto dell’acclarato rischio di suicidio. Dall’altro lato, il giudice ha constatato che le pertinenti disposizioni della legge n. 69/ 2005 non prevedono che ragioni di salute di questo tipo possano costituire un motivo di rifiuto della consegna nell’ambito delle procedure di esecuzione di un mandato d’arresto europeo. Sulla scorta di tali circostanze, la Corte d’appello di Milano, con ordinanza del 17 settembre 2020, ha sollevato questioni di costituzionalità dinanzi alla Corte costituzionale.

Quest’ultima però nel 2021, riconoscendo che le questioni prospettate «non concernono soltanto la compatibilità con le disposizioni della Costituzione italiana, ma coinvolgono preliminarmente l’interpretazione del diritto dell’Unione europea, del quale la legge nazionale censurata costituisce specifica attuazione», ha interpellato a sua volta la Corte di Giustizia, condividendo il deficit di tutela. A Lussemburgo si sono espressi ad aprile di quest’anno sostenendo, tra l’altro, che «qualora sussistano valide ragioni di ritenere che la consegna di una persona ricercata, in esecuzione di un mandato d’arresto europeo, rischi di mettere manifestamente in pericolo la sua salute, l’autorità giudiziaria dell’esecuzione può, in via eccezionale, sospendere temporaneamente tale consegna», aggiungendo che laddove, «alla luce delle informazioni fornite dall’autorità giudiziaria emittente nonché di tutte le altre informazioni a disposizione dell’autorità giudiziaria dell’esecuzione, risulti che tale rischio non può essere escluso entro un termine ragionevole, quest’ultima autorità deve rifiutare di eseguire il mandato d’arresto europeo».

Ora la Corte costituzionale è chiamata a decidere sulla questione di legittimità costituzionale alla luce delle statuizioni indicate dal Lussemburgo. Il relatore Viganò ha chiesto alle parti di suggerire come sarebbe possibile incorporare le indicazioni della Cgue nella legge 69 del 2005.

Il professore avvocato Vittorio Manes, che si è aggiunto davanti alla Corte Costituzionale alla difesa di D. L. E., ha dichiarato che la migliore sentenza sarebbe quella «di accoglimento a carattere additivo: ossia una pronuncia che dichiari l’incostituzionalità delle disposizioni impugnate nella parte in cui non prevedono la facoltà o l’obbligo di rifiutare la consegna qualora l’interessato sia concretamente esposto al pericolo di subire un grave pregiudizio alla salute nello Stato richiedente, così colpendo l’omissione testuale del legislatore». Dal canto suo, l’avvocato Nicola Canestrini ha sottolineato che «le indiscutibili e crescenti esigenze della lotta contro la criminalità sul piano internazionale sollecitano giustamente una sempre più fattiva e leale collaborazione tra gli Stati, ma non possono in nessun caso andare a detrimento dei valori che la Costituzione dichiara inviolabili, quali quella della tutela del diritto alla salute» .