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Onorevole Rosato, sarete voi del terzo polo a fare le riforme assieme al governo, senza le altre opposizioni?
Noi abbiamo una prima esigenza, cioè sbloccare il cantiere delle riforme. E questo si fa senza mettere degli aut aut. Dobbiamo andare alla ricerca di due obiettivi: il primo è avere maggiore governabilità; il secondo è avere maggior efficienza del Parlamento, che oggi di fatto fa poco più che il passacarte in molte delle situazioni in cui la Costituzione invece gli riserva un ruolo.
Ma aumentando i poteri del presidente del Consiglio, come chiedete voi, non c’è il rischio che il Parlamento venga ancora di più messo da parte?
Ci potrebbe essere questo rischio e per questo serve rafforzare il Parlamento, intanto cancellando il bicameralismo. Ci vuole una Camera sola che approvi le leggi e che interloquisca con il governo. Chi ha pratica dei lavori parlamentari sa benissimo che oggi i decreti sono l’unico sistema per avere approvate le norme in tempi rapidi. Con due rami del Parlamento che devono convertire i decreti, di fatto c’è oggi una lettura solo in un ramo.
Pd e M5S non vogliono che si tocchi la figura del capo dello Stato, mentre Renzi ha aperto alla nomina dei ministri da parte del presidente del Consiglio, funzione che oggi spetta al Quirinale: come se ne esce?
Va preservata la terzietà, l’autonomia e l’autorevolezza del presidente della Repubblica, che è non solo simbolo dell’unità nazionale ma anche garanzia del sistema istituzionale del paese. Poi il fatto che il premier possa scegliere i ministri non intacca questa autorevolezza ma rende più simmetrico un sistema in cui il potere esecutivo deve poter avere gli strumenti operativi adeguati al lavoro da svolgere. In Germania e Francia si sono alternati tre o quattro governi in vent’anni e il Pil è cresciuto del 20 per cento, in Italia la situazione la conosciamo e il Pil è sempre lì, stazionario, un po’ immobile. È un dato di fatto: la stabilità consente maggiore produttività.
Eppure proprio in questo momento governa una maggioranza solida, con numeri importanti in entrambi i rami del Parlamento e che a meno di litigi interni resterà al comando per altri quattro anni: dove sono i problemi di stabilità?
Ci sono state anche in passato maggioranze ampie, per esempio con Berlusconi, finite poi male. Ma non è questo il punto. Le riforme istituzionali debbono incidere sui punti di debolezza e il primo tra tutti è il bicameralismo. Posso suggerire di guardare i lavori parlamentari delle ultime settimane? Decreti con la fiducia esaminati da un solo ramo del Parlamento, mozioni che sono atti di indirizzo che perlopiù finiscono nei cassetti, e discussioni inutili su ordini del giorno privi di effetti pratici che sostituiscono gli emendamenti impediti dall’apposizione della fiducia.
Da PiùEuropa è arrivato l’invito a una proposta unitaria delle opposizioni: arriverete a un compromesso tra voi per fare maggiore pressione sulla maggioranza?
Non mi sembra la questione principale. Vediamo intanto cosa proporrà la maggioranza, in cui ci sono molte idee sull’argomento. Ma i punti concreti sono altri. Ad esempio, certamente mettendo mano alle riforme bisogna anche ritrovare un equilibrio tra poteri dello Stato e delle Regioni per andare a intervenire su un’attribuzione confusa di competenze e su necessità che il tempo ha fatto emergere.
Nel 2016 la riforma costituzionale fu legata alla nuova legge elettorale, e poi come noto non se ne fece nulla. Pensa che anche in questo caso le due questioni saranno legate?
Quella volta fummo costretti a fare la legge elettorale insieme alla riforma costituzionale per gli equilibri interni al Pd. Non fu sufficiente perché poi il fuoco amico alla riforma fu proprio quello interno al Pd. Suggerirei alla presidente Meloni di procedere prima con le riforme costituzionali e poi lavorare sulla legge elettorale in modo conseguente.
In questi giorni si parla delle uscite dal Pd verso altri lidi, tra cui Iv: pensa ch l’emorragia continuerà?
Io vedo che il Pd sta sempre più a sinistra, culturalmente, nelle posizioni politiche in Aula, nelle scelte perfino comunicative. Un pezzo dell’elettorato se ne andrà e probabilmente porterà dietro di sé anche un po’ di dirigenti. Poi il Pd recupererà a sinistra altri spazi, sta cambiando la sua natura e il suo profilo. Cosa accaduta anche al Partito socialista in Francia.
Ma come si fa a creare un polo riformista se poi gli stessi riformisti, vedi Renzi e Calenda, litigano tra loro?
Ci sono due scenari: il primo, è quello di dire “i riformisti stiano in tutti gli schieramenti e collaborino quando si tratta di legiferare”; il secondo è quello che i riformisti abbiano coraggio e si mettano insieme per una proposta politica omogenea e moderata nei toni e ancorata nei valori. Il primo passo in questa direzione era la casa comune tra Azione e Iv. Un passo fallito. Vediamo cosa ci riserverà il futuro.