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Silvia Simoncini, segretaria nazionale di Nidil ( Nuove identità di lavoro) Cgil, spiega che l’accordo raggiunto con Just Eat per il riconoscimento dei rider come lavoratori subordinati è «un passo storico» e si augura «che possa diventare un modello per le altre piattaforme di food delivery».
Perché l’accordo con Just Eat è così importate?
Perché fino all’altro ieri questi lavoratori sono stati immaginati come autonomi, mentre ora sono riconosciuto come subordinati, il che significa che si potrà applicare il contratto collettivo nazionale, in questo caso quello del “merci e logistica”. È un accordo importantissimo per i lavoratori che lavoreranno con Just Eat nei prossimi mesi ma è molto importante anche per tutti gli altri lavoratori, perché speriamo che in un futuro non troppo lontano possa diventare un modello per le altre piattaforme del food delivery.
Su questo fronte ci sono altri accordi all’orizzonte?
Purtroppo è solamente il primo passo, anche se storico. Non abbiamo ad oggi segnali da Assodelivery e dalle aziende che aderiscono a essa per accordi simili. Speriamo tuttavia che questo passo venga colto come un’opportunità dal governo e dal ministro del Lavoro perché si possa giungere rapidamente all’apertura di un nuovo tavolo di confronto. C’è ancora tanto lavoro da fare.
Crede che la pandemia sia stata decisiva per il raggiungimento di questo accordo o ci sareste arrivati comunque?
Tutte le mobilitazioni di questi anni avevano già portato a un primo passo, cioè alla legge 128 del 2019, nella quale venivano riconosciuti alcuni diritti per questi lavoratori. Ma la pandemia ha indubbiamente ha acceso un faro sulla questione e ha anche fatto percepire in maniera più compiuta i limiti dei rapporti di lavoro autonomi come questi. All’inizio della pandemia i rider erano completamente sprovvisti di qualsiasi dispositivo di protezione contro il coronavirus, battaglia poi vinta in Tribunale. In più hanno avuto paradossalmente un calo drastico delle consegne individuali, perché è vero che c’è stato un aumento delle consegne, ma al tempo stesso le aziende hanno aumentato i rider. E hanno potuto farlo perché a loro tenere persone in strada non costa nulla. L’insieme di questi fattori ha dato l’accelerata decisiva alla vertenza.
In che modo hanno influito su tutto questo processo le diverse indagini aperte sul tema, prima fra tutte quella della Procura di Milano?
L’indagine della Procura di Milano ha avuto numeri straordinari, non solo per la cifra relativa alle sanzioni attive in capo alle quattro maggiori aziende per violazioni delle norme su salute e sicurezza, ma anche perché la Procura parla di 60mila rider attivi in Italia. Un numero chiaramente relativo a coloro che in un lasso di tempo ampio hanno transitato nel settore, ma comunque un numero che risuona. È stata utilissima non solo dal punto di vista mediatico ma perché ha affermato alcune cose importantissime come il fatto che questi lavoratori sono esposti a rischi continui sulla strada e che di certo non sono lavoratori autonomi, men che meno autonomi occasionali. Non dice che sono lavoratori subordinati, perché sono numeri talmente grandi che è impossibile stabilirlo per ognuno, ma fa un’affermazione importantissima dicendo che hanno comunque diritto alla disciplina del lavoro subordinato.
Questo accordo è ancora migliorabile o vi ritenete soddisfatti?
In queste ore l’accordo viene definito erroneamente come un accordo in senso generale, mentre è un accordo integrativo aziendale. Faccio questa precisazione perché a un certo punto i lavoratori finiranno nel contratto collettivo “merci e logistica' e a quel punto saranno le sigle sindacali a negoziare nel tempo i rinnovi. Non è insomma un accordo solo per i rider.
Questa vittoria arriva pochi giorni dopo la protesta dei dipendenti Amazon. Cosa unisce le due battaglie?
Entrambe le vertenze hanno visto Cgil, Cisl e Uil impegnate già da diverso tempo. Il tratto che le unisce è che la pandemia ha puntato il riflettore su tutti questi lavoratori perché l’attività che loro svolgono si è diffusa in maniera esponenziale. Tutti noi abbiamo utilizzato Amazon in questo periodo e la possibilità di ricevere prodotti a casa in maniera più frequente di quanto facessimo prima. E quindi abbiamo preso dimestichezza e conoscenza di queste figure professionali. Mi auguro che molti si siano appassionati alle loro legittime rivendicazioni.
Avete avuto risposte dalla politica?
La politica non può che registrare la presenza di una problematica evidente e tentare di dare delle risposte. Su Amazon siamo in attesa di un confronto serio rispetto alla condizione di questi lavoratori e la stessa cosa vale per i 40mila rider che ci sono in Italia, ad eccezione ovviamente dei lavoratori di Just Eat.