Pensiamo di conoscerci abbastanza bene e diciamo spesso “Io faccio questo, Io penso quest’altro”. Presi incessantemente dalla propaganda di una minuscola parte di noi: cioè l’Io. “La legge non ammette l’ignoranza ai suoi dettati” e questa massima è ben comprensibile se, ad esempio, violiamo un articolo del codice della strada e veniamo, giustamente, multati. Ma se, d’improvviso, ci vergogniamo perché siamo stati tutto un giorno in mezzo alla gente con la patta dei pantaloni aperta o con due calze di diverso colore, ciò che svela la sua fragilità, tramite il sentimento della vergogna, è il Sé non l’Io.

Il Sé costituisce almeno il 98 per cento di quello che siamo, siamo stati e potremo o potremmo essere. Ha una struttura psico- fisica potente e merita di essere esplorato attraverso, almeno, quelli che definiremmo i suoi Pilastri, cioè la dimensione strutturale che lo attraversa.

Vediamo, dunque, quali possono essere i Quattro Pilastri del Sé partendo dal primo di questi: la continuità. Noi siamo qui perché il nostro cuore batte continuamente ed anche i polmoni non cessano nemmeno per un istante di fare il loro essenziale lavoro, ma anche le cellule epiteliali e quelle delle mucose continuamente si rinnovano. La sera basta passarsi un asciugamano candido e umidificato sul viso, sulle mani e sul corpo per accorgerci che questo è diventato grigio e non solo per lo smog, ma per le cellule di desquamazione che, dopo aver garantito la nostra protezione idrorepellente, pian piano se ne vanno.

Sembrerà banale, ma non lo è affatto. Il movimento continuo dei pianeti e degli astri, l’alternarsi delle stagioni, il nostro ciclo di vita e infiniti altri aspetti sono caratterizzati dalla continuità in movimento così come gli orari dei treni, la disciplina e la ripetizione rituale delle preghiere. Anche nella dimensione narrativa della nostra esistenza spesso ci stupiamo delle numerose fratture che la continuità del Sé cerca di riparare talora con racconti ad hoc, oppure con storie inventate, forse perché è proprio il peso inevitabile della continuità che ci opprime.

Il secondo pilastro del Sé è costituito dalla Coesione delle parti in un tutto. Ciò vuol dire anzitutto che le parti del nostro corpo e della nostra psiche “in qualche modo” vanno d’accordo le une con le altre. Un mio paziente schizofrenico spesso indossa con un braccio una camicia e con l’altro la manica di una giacca con il bel risultato che non ci si raccapezza e il vestirsi diventa una faccenda molto laboriosa e, dall’esterno, persino buffa.

Si può dire che per lui “la mano destra non sa quello che fa la sinistra”. Allo stesso modo se la memoria ha uno sviluppo mostruoso ( come in Funes o della memoria di Jorge Louis Borges) e non ha una limitazione da parte delle altre funzioni cerebrali superiori non aiuta a vivere meglio, anzi. Una personalità armoniosa probabilmente si sviluppa su un Sé che possiede un buon livello di coesione. Il terzo pilastro è definito dalla affettività per cui noi agiamo nel mondo non per noi stessi, bensì “per qualcun altro” come se il nostro Sé avesse una dimensione intrinsecamente altruistica.

È molto probabile che questa dimensione si costruisca nel piccolo bambino molto precocemente come testimoniano le sue giubilazioni quando, sin dal terzo mese di vita, accoglie l’immagine della mamma che gli si accosta. Quando un bambino non vuole mangiare l’adulto che lo imbocca spesso gli dice: “Ancora quattro cucchiai: uno per la mamma, uno per il papà, uno per la nonna e uno per il nonno” e, così, il bambino mangia “per affetto” e non per sé.

L’ultimo pilastro del Sé è costituito dalla volitività e si pone, forse, su un piano leggermente diverso dai precedenti. Voglio dire che l’essere umano è essenzialmente un Homo Faber, nel senso della volitività, cioè nella diuturna sua capacità di fare dei minimi progetti che attivino contemporaneamente tutti e quattro i pilastri del Sé. La dissociazione di questa funzione segna spesso alcuni passi essenziali dell’umorismo.

In Ma che cos’è questo amore?

( 1927) Achille Campanile esordisce in questo modo con il suo primo ( e fortunato) romanzo comico: “Alle 7 del mattino Carl’Alberto entrò nella stazione di Roma e un facchino lo accompagnò al treno di Napoli. “Veramente” osservò il giovane “io debbo andare a Firenze”. “Salga” disse il facchino. “Sempre prepotenze” mormorò Carl’Alberto, prendendo posto nel treno di Napoli. Naturalmente tutta la successiva e strampalata vicenda del romanzo si svolge, poi, nella città di Napoli.

Consiglio al lettore di fare un piccolo esperimento, dopo aver letto questo breve articolo. Cerchi di ricordare quali siano questi quattro pilastri del sé. Molti noteranno che avranno qualche difficoltà a rammentarli tutti ed è questa l’ennesima prova che il nostro Sé non è controllabile al 100 per cento; che l’Io ci disperde e che siamo “stranieri in Patria”.

Vi è un quadro di Lorenzo Lotto che mi ha sempre sconcertato e che, probabilmente, è la sua ultima opera. Si trova a Loreto dove l’anziano pittore, triste e depresso, si era ritirato presso il convento dei Frati Minori. Il quadro rappresenta la circoncisione di Gesù e vede la scena svolgersi in uno spazio singolare che è marcato da un tavolo rettangolare disposto in primo piano. Il fatto curioso è che le quattro gambe del tavolo sono gambe umane.

Se superiamo la prima impressione, che è quella che Lotto fosse impazzito, possiamo immaginare che questa scena si svolga di fronte ad una rappresentazione di un Sé cosmico, di quattro “gambe” che, per funzionare, devono potersi muovere, cioè essere gambe umane, così come gambe umane sono quelle del nostro Sé psicofisico.

* psichiatra e psicoterapeuta