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Guglielmo Giannini, più commediografo che drammaturgo, come invece lo rappresentano le biografie elettroniche, fattosi non a caso le ossa come giornalista nei fogli satirici, non sarebbe molto orgoglioso degli emuli che, a loro insaputa, popolano da qualche anno le cronache politiche italiane e le stesse aule parlamentari o municipali. Dove Giannini con il suo movimento "L'Uomo Qualunque" approdò orgogliosamente nel 1946 mettendo alla berlina i partiti tradizionali, che pure erano appena rinati dopo la caduta del fascismo e la fine della seconda guerra mondiale.Nelle elezioni amministrative di 70 anni fa, le prime svoltesi dopo la Liberazione, il movimento appena creato dal commediografo tra frizzi e lazzi si classificò primo in città come Palermo e Messina, sorpassò la Dc a Roma col 20 e rotti per cento, superò il 14 a Sassari e riservò sorprese anche al Nord.Nelle successive elezioni per la storica Assemblea Costituente i qualunquisti di Giannini presero a livello nazionale più del 5 per cento dei voti portando a Montecitorio 30 deputati su 574: un gruppo parlamentare di tutto rispetto sul piano numerico. Ma le loro fortune durarono poco perché gli italiani, pur avendo voglia di ridere dopo tutto quello che avevano provato in guerra e prima, si stancarono presto degli spettacoli che il commediografo produceva sul palcoscenico politico.Anticomunista alla morte, Giannini riuscì a corteggiare anche Palmiro Togliatti, dopo avergli personalmente dato del "verme, farabutto e falsario", venendone naturalmente respinto. E per tornare come deputato in Parlamento, nelle elezioni del 1948, cioè solo due anni dopo l'esordio, dovette chiedere ospitalità al Partito Liberale. Che dopo cinque anni non volle saperne di ricandidarlo, per cui il poveretto dovette rivolgersi alla Dc. Che generosamente l'ospitò nelle sue liste senza riuscire però a farlo rieleggere.Chissà se qualcuno ha ricordato bene questa storia a Beppe Grillo, che spesso assomiglia a Giannini per le sue invettive contro i partiti e per gli spettacoli che dà e i vaffa che manda a destra e sinistra. «Non ci rompete più le scatole», gridava sistematicamente Giannini ai leader dei partiti tradizionali, spesso sostituendo le scatole con qualcosa d'altro, come esattamente fa Grillo, sempre più di frequente anche con i suoi, che fanno troppi casini, più di quanti non riesca a farne lui da solo, politicamente parlando naturalmente.Clamorosa, oltre che politicamente comica, per esempio, è la partecipazione dei grillini al ricorso al Tar contro il quesito referendario al quale gli italiani sono stati chiamati a rispondere sì o no il 4 dicembre sulla riforma costituzionale. Un quesito, scritto dalla Corte di Cassazione, come ha tenuto a ricordare il presidente della Repubblica, e che è lo stesso sul quale i grillini e gli altri sostenitori del no hanno inutilmente tentato di raccogliere le firme, cercando anche di guadagnarsi il finanziamento pubblico, sotto forma di rimborsi, di 500 mila euro. Il quesito, da loro definito "spot", "truffa" e altro ancora, è semplicemente il titolo della legge di modifica alla Costituzione approvata dalle Camere.Un po' troppo comica è anche la reazione al sì referendario alla riforma costituzionale annunciato, anzi confermato da Roberto Benigni, che non è riuscito a guadagnarsi un briciolo di solidarietà o comprensione professionale dai colleghi che affollano il fronte del no. Fra i quali c'è l'obiettivamente imperdibile Maurizio Crozza.Ha infastidito i sostenitori del no soprattutto la motivazione del sì di Benigni: il rischio di buttare «il morale a terra», in Italia e altrove, e di fare «più danni della Brexit», dell'uscita cioè della Gran Bretagna dall'Unione Europea. Che, per quanto non ancora formalizzata, perché essa comporta curiosamente un negoziato quasi come quello per entrarvi, ha già autorizzato la prima ministra inglese ad annunciare una schedatura, o lista di proscrizione, degli europei non britannici residenti nel suo Paese.Benigni «non fa più ridere», ha decretato il sindacato dei suoi spettatori quale ritiene evidentemente di essere Il Fatto Quotidiano di Marco Travaglio, già allarmato nei giorni precedenti dalle difficoltà che stanno incontrando i propri spettacoli per il no referendario nei teatri comunali dove cerca di rappresentarli.Benigni "fa piangere", si è spinto ancora più avanti, o indietro, come preferite, Il Manifesto. Che evidentemente di lacrime s'intende di più per le disgrazie politiche alle quali gli è capitato di assistere nella sua vita, più lunga e tormentata del giornale fondato da Antonio Padellaro e diretto ora da Marco Travaglio. Che in una vignetta di prima pagina ha lasciato rappresentare Benigni mandato a quel posto dalla sua signora Costituzione, che lui scherzando al rientro in casa era tornato a salutare come «la più bella del mondo».Una parola vorrei spendere a favore di Benigni di fronte al tentativo dei suoi critici o nuovi avversari di accomunarlo a quanti nel mondo dello spettacolo evitano di sposare la causa del no per paura di perdere contratti già firmati, con la Rai o altre aziende influenzate o influenzabili del governo, o contratti futuri.Per quanto si possa umanamente essere avidi, penso che a Benigni tutti i soldi meritatamente guadagnati nella sua carriera d'artista dovrebbero bastare ed avanzare per una serena vecchiaia. Che peraltro sembra essere anche il titolo di una cartellina con la quale Camillo Davigo, quando lavorava nella Procura di Milano diretta da Francesco Saverio Borrelli, soleva raccogliere ritagli di stampa e ogni altro materiale contentente critiche ai magistrati impegnati nell'inchiesta Mani pulite, e suscescettibili di azioni giudiziarie per diffamazione e danni. Una circostanza, questa, amichevolmente e recentemente ricordata, o contestata, dall'ex direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli, in televisione, allo stesso Davigo appena eletto presidente dell'associazione nazionale dei magistrati. E da Davigo per niente smentita, anzi confermata con uno dei suoi inimitabili e sarcastici sorrisi. Davanti ai quali vi confesso che mi capita qualche volta di avvertire come giornalista dei brividi, spero a torto.