Sul caso delle intercettazioni che coinvolgono l’ex sottosegretario ai Trasporti Armando Siri (Lega) il Senato ha chiesto alla Consulta di dichiarare l’illegittimità costituzionale della legge che consente di utilizzare le intercettazioni che riguardano anche i parlamentari ascoltati casualmente. Giovanni Guzzetta, ordinario di diritto pubblico a “Tor Vergata” e avvocato del Senato chiamato a sciogliere i nodi legati proprio al caso Siri davanti alla Consulta, predica cautela e fa un appello ai media affinché trattino con chiarezza il tema delicato delle intercettazioni, compresi i risvolti giudiziari. Il riferimento è prima di tutto al Fatto Quotidiano, che ieri ha dedicato l’apertura al tentativo di Palazzo Madama di creare uno “scudo” per le intercettazioni indirette che tirano in ballo senatori e deputati, riportando pure alcune dichiarazioni dello stesso Guzzetta.

Professor Guzzetta, cosa pensa della vicenda Siri?

Guardi, non ho l’abitudine di rilasciare interviste su questioni di cui mi occupo professionalmente, per giunta in un momento in cui si è in attesa della sentenza della Corte costituzionale. Ma di fronte a un quotidiano che dedica a un delicatissimo giudizio costituzionale, su una materia altrettanto delicata, la prima pagina con affermazioni non corrette riferite peraltro al difensore, non posso esimermi da alcune precisazioni, per contrastare affermazioni che denotano o malafede o ignoranza della giurisprudenza costituzionale.

A cosa si riferisce nello specifico?

Nell’articolo in questione si fa riferimento a dichiarazioni da me pronunziate nell’udienza pubblica davanti alla Corte costituzionale. Il modo di riportarle è la prova più evidente di quanto delicato sia il tema che stiamo trattando. Decontestualizzare singole affermazioni dal discorso in cui sono inserite, traendone conseguenze scorrette rispetto al loro significato oggettivo e complessivo, è esattamente uno dei motivi per i quali il tema delle intercettazioni è così incandescente e importante. Nell’articolo si insinua che io avrei sostenuto che il parlamentare debba avere, quanto alle intercettazioni, lo stesso trattamento del presidente della Repubblica. Ciò induce nel lettore l’idea che il capo dello Stato sia tirato per la giacchetta per difendere la posizione di un parlamentare, che, evidentemente, il giornale in questione considera gravemente sospetto, se non colpevole. E qui c’è la malafede o l’ignoranza. Se si fosse riportato l’intero ragionamento si sarebbe compreso che la premessa dello stesso era esattamente opposta.

Ci spieghi lei…

Il presidente della Repubblica, come sancito dalla Consulta, gode di una garanzia peculiarissima in tema di captazioni, ma ciò non toglie che la Corte abbia anche affermato che per tutti gli organi costituzionali, anche se con discipline distinte, vale il principio di una particolare protezione delle comunicazioni, che consenta agli interessati la libertà di esprimersi senza la preoccupazione di poter essere intercettati a meno che tali intercettazioni non siano previamente autorizzate dall’organo di appartenenza. Fatta questa precisazione, il Senato ha sollevato diverse questioni nel processo costituzionale in questione. Tra queste vi è anche una questione di legittimità costituzionale sulla norma che consente le intercettazioni cosiddette casuali. I processi si fanno nei tribunali, non sui giornali.

Il Senato ha anche sostenuto che l’autorità giudiziaria non fosse legittimata a sollevare il conflitto.

La tesi sostenuta dalla difesa del Senato è che l’autorità espressamente abilitata dalla legge a chiedere l’autorizzazione sia il Gip e nessun altro e che, dunque, conseguentemente solo il Gip (o al più il pm) potesse sollevare il conflitto. Cosa che non è avvenuta in questa vicenda. Ovviamente, quando non vi sia un Gip, la situazione è diversa. Nel caso in questione, da un lato, la notizia delle intercettazioni è finita subito sui giornali, con la conseguenza che l’interessato è stato immediatamente rimosso dall’ufficio di viceministro che ricopriva, mentre prima che l’autorità giudiziaria chiedesse al Senato l’autorizzazione all’utilizzazione sono passati più di tre anni, praticamente gran parte della legislatura.

Occorre, secondo lei, intervenire sulla materia delle intercettazioni?

Non voglio parlare del caso specifico, però, mi pare evidente dai tanti casi che ho potuto osservare che un problema ci sia. Nessuno è al di sopra della legge, però siamo tutti al di sotto della Costituzione, e fin quando la Costituzione riterrà che i rappresentanti dei cittadini meritano delle garanzie particolari nel comunicare, i primi a difendere tali norme dovrebbero essere coloro che spesso urlano alle aggressioni della Costituzione.

Il parlamentare intercettato indirettamente rischia di vedere distrutta la carriera politica. Nel meccanismo delle intercettazioni si tenta una sorta di “pesca a strascico”? I magistrati ci provano?

Non faccio processi alle intenzioni. È chiaro che per un parlamentare sapere che le sue dichiarazioni, per le quali la Costituzione richiede un’autorizzazione preventiva quando esse siano dirette a lui, possano invece essere utilizzate se intercettate per caso, certamente ne condiziona la serenità e libertà comunicativa. Proprio quello che la Costituzione vuole tutelare.