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SALVATORE SICA PRESIDENTE COMITATO CONSULTIVO PERMANENTE PER IL DIRITTO D'AUTORE
«Io credo che il concetto di privacy, soprattutto quanto parliamo di comunicazioni che avvengono attraverso chat o mailing list, sia da ritenersi in qualche modo superato», afferma il professore Salvatore Sica, ordinario di Istituzioni di diritto privato presso l’Università degli Studi di Salerno. Presidente del Comitato consultivo permanente per il diritto d’autore e socio fondatore di Iaic – Italian Academy of Internet Code, Sica è stato in passato vicepresidente della Scuola superiore dell’avvocatura.
Professore, da giorni non si parla d’altro che della mail del sostituto procuratore generale della Cassazione Marco Patarnello. Mail con cui il magistrato esprimeva perplessità nei confronti dell’operato del governo di centrodestra e poi divenuta di pubblico dominio tramite il quotidiano Il Tempo nonostante fosse sulla mailing list dell’Associazione nazionale magistrati. È un caso di violazione della privacy?
Teoricamente sì. Ma nella pratica no. Chiunque oggi invia un messaggio su una chat mediamente partecipata deve pensare che tale messaggio potrà un giorno essere diffuso anche al di fuori della chat stessa. Ormai i casi sono tantissimi. Si pensi ad esempio a quello recente che ha riguardato la chat dei parlamentari di Fratelli d’Italia riguardo il voto di un giudice costituzionale.
Rimedi possibili?
Nessuno. Serve solo una assunzione di responsabilità da parte di chi scrive, evitando commenti o affermazioni non corrette.
Lei è stato anche componente del Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa. La sua consiliatura ha contribuito alla stesura delle linee guida per l’uso dei social da parte dei magistrati amministrativi. Si tratta di regole ben precise la cui violazione comporta anche profili di responsabilità disciplinare per il magistrato. Può spiegare di cosa si tratta?
Una premessa: non è assolutamente fatto divieto di usare i social per i magistrati amministrativi. Nessuno ha mai inteso comprimere la libertà di manifestazione del pensiero del singolo magistrato. Tuttavia, nelle linee guida viene sottolineato che l’uso dei social deve essere fatto in maniera sobria ed equilibrata. In altre parole, i contenuti della comunicazione social in nessun modo devono poter interferire con l’attività giurisdizionale. Per essere chiari, magistrato non può manifestare apertamente le proprie idee politiche: il canone di riferimento è sempre quello della sobrietà e della correttezza. Il giudice deve ricordarsi che un domani potrà essere chiamato a decidere su norme di cui ha espresso la proprio opinione. E infine c’è il tema dell’astensione: il giudice non può giudicare una vicenda che riguarda una persona con cui ha una “amicizia” sui social.
Come siete arrivati alla stesura di queste linee guida?
Abbiamo avuto delle interlocuzioni preventive con le varie associazioni dei giudici amministrativi. Queste linee guida, mi piace ricordarlo, sono state approvate all’unanimità. Mi pare un segnale molto importante. Il magistrato non è un cittadino come tutti gli altri. Proprio per la sua delicata funzione deve sempre mantenere un profilo di terzietà ed imparzialità.
Il cittadino non può pensare che il suo giudice sia in qualche modo prevenuto e che dunque la sua decisione sia in quale modo condizionata dalle proprie opinioni.
I critici diranno che il diritto della libertà di espressione non può essere compresso.
Nessuno vuole toccare il diritto della libertà di espressione ma il magistrato deve capire che ha un ruolo importante nella società. Fare il magistrato, incarnando un potere oggi rilevantissimo, molto più del passato, significa anche imporsi un self- restraint. Se si accetta di fare il magistrato occorre dunque avere capacità di misura dei propri comportamenti.
Si potrebbero replicare queste linee guida anche nella magistratura ordinaria?
Certamente.
E secondo lei perché non viene fatto? Anche alla luce di quanto accaduto. Il lavoro sarebbe già pronto, bisognerebbe solo “copiare” quanto avete fatto per i colleghi amministrativi...
Sinceramente non saprei rispondere non essendomi mai interessato personalmente della questione. Posso però affermare che, a differenza di quanto accade nelle altre giurisdizioni, nella magistratura ordinaria il peso delle correnti è molto forte. Ciò che accade nella magistratura ordinaria non accade altrove.
Sono le correnti dell’Anm che frenano questo genere di riforme?
Dico soltanto che negli ultimi quarant’anni abbiamo assistito ad un loro attivismo sempre più accentuato nel dibattito politico. E questo certamente non aiuta a mettere dei “paletti” in tema di comunicazione esterna.