Vicepremier o morte. Programma al posto del Contratto. Rousseau da cui «dipende tutto». Vero. Ma contemporaneamente falso. Non sta in quei meandri il nocciolo duro della crisi. Sta invece nel peccato originale mai mondato, nell’equilibrio politico scaturito dalle urne di un anno e mezzo fa, nel sottosopra che ha trasformato Pd e FI in coriandoli e che ha spianato la strada al “Cambiamento”.

Quell’esperimento, battistrada del nuovo ordine italiano ed europeo, è crollato dopo 16 mesi lasciando il terreno colmo di macerie. Bisogna sgombrarle per costruire qualcosa di nuovo. Bisogna che si ammetta che quel tentativo è fallito perché era improponibile. E di lì, imboccare con grande consapevolezza, una strada diversa.

Non è andata così, non sta andando così. L’M5S mantiene il volto della “continuità”, del quanto di buono fatto con la Lega e vuole travasarlo nel nuovo contenitore di governo. Il Pd non scioglie il nodo del rapporto con un MoVimento nato per annientarne orme ed esperienza e con il quale adesso si vorrebbero addirittura riscrivere le regole del gioco costituzionale, eleggere il nuovo capo dello Stato e - perché no? - imbastire convergenze a livello locale per allontanare lo spettro delle prossime votazioni regionali. Il tutto con un semplice movimento di ciglia da parte del Nazareno. L’M5S, invece, neppure quello: basta un video del Garante. O meglio ancora un click degli “elevati” muniti di tastiera. Dove porta tutto questo è impregiudicato. Ma che sfoci in un’ azione di governo all’altezza, al momento è un esercizio onirico.