Parla Marta Vincenzi, ex sindaco di Genova. A ottobre ha finito di scontare, con la messa a disposizione presso i servizi sociali, il primo anno di tre, a cui è stata condannata, con l'accusa di omicidio colposo, per la gestione dell'alluvione di Genova del novembre 2011.

Cosa ha pensato quando ha visto cosa stava accadendo a Ischia?

Essendo passata attraverso un disastro, anche se di altro tipo, ogni volta mi immedesimo, è un dolore che si ripete. Il mio pensiero va alla popolazione e agli amministratori che si trovano a dover fronteggiare queste situazioni. Provo anche rabbia.

Perché?

Questo nostro territorio ha tanti problemi di tipo idrogeologico, è così fragile ma allo stesso tempo viene maltrattato o poco curato.

Dopo il disastro, nessuno sembra esserne responsabile.

Premesso che ogni situazione deve essere analizzata nel dettaglio, in generale vorrei che tornasse l’attenzione sul fatto che è lo Stato nelle sue diverse articolazioni a doversi interrogare sul perché queste cose continuino ad accadere. E in particolare sul sistema della Protezione civile. L’impostazione sistemica data da Zamberletti pian piano si è andata perdendo, soprattutto negli ultimi decenni. La Protezione civile è una struttura della Presidenza del Consiglio che si dirama in articolazioni che devono essere fatte vivere nei tavoli soprattutto in tempo di pace, non solo in tempo emergenziale. Dovrebbe avere gli strumenti e le informazioni per sapere quali sono le situazioni dove è meglio concentrarci e prevenire: questo è andato perduto in un insieme di rivoli di responsabilità plurime, a volte definite dalla ‘legge X’ ma contraddette dal ‘decreto Y’ approvato dopo, a volte bizantineggianti o troppo generiche. È il caso dei sindaci.

Ci spieghi.

Si dice che il sindaco è di per sé il responsabile della Protezione civile, però non si chiarisce come e di cosa sia responsabile, e in che modo questa responsabilità è fatta vivere insieme a quelle di tutti gli altri soggetti. Dov’è stato il coordinamento di tutti questi livelli? Inoltre bisognerebbe evitare sul piano culturale che soprattutto da parte dei cittadini, appena dopo la tragedia, si vada alla ricerca del colpevole, visto che non si conoscono i vari livelli e le gradazioni delle responsabilità all’interno dell’apparato statale. Anche per questo le affermazioni del Ministro Pichetto Fratin sono pericolose.

Ha fatto un passo indietro: “Non posso avercela coi sindaci […] La mia dichiarazione di ieri è stata un po’ forte quando ho detto che bisognerebbe arrestare”

Quella frase è stata davvero brutta, non basta fare un passo indietro. Non si può semplificare una questione complessa. Occorre capire cosa c’è all’origine di quella affermazione.

E cosa c’è?

Mancanza di cultura e consapevolezza rispetto al tema di cui si sta parlando. Innanzitutto è sbagliato lisciare il pelo al peggior qualunquismo forcaiolo che si trova nell’opinione pubblica. Io purtroppo questo l’ho vissuto sulla mia pelle. È grave che lo abbia fatto un ministro il quale, in pochissimo tempo, ha fatto indagine, processo e spedito in carcere il colpevole, bypassando tutto il lavoro della magistratura. Mancava solo che dicesse ‘buttiamo via la chiave’. Poi non è proficuo ragionare in termini di categoria. Come ha sbagliato Pichetto Fratin a dire che è tutta colpa dei sindaci, allo stesso modo ha sbagliato Salvini a dire che occorre difendere i primi cittadini in quanto tali.

Cosa avrebbe dovuto invece dire Pichetto Fratin?

Avrebbe dovuto enunciare il suo impegno nel capire cosa non ha funzionato, delineare le linee di miglioramento, iniziando una interlocuzione con le istituzioni sul territorio, con l’Anci, anche con le Prefetture per ragionare in tempo di pace e non in tempo di emergenza. Quindi capire non come mandare in galera i sindaci ma come poter aiutare gli amministratori locali che poi, se sbagliano, ne renderanno conto alla magistratura e ai propri cittadini.

Questione condono: anche qui è un rimpallo di responsabilità.

I partiti dovrebbero mettere in fila le cose fatte e quelle non fatte in questi decenni per aiutare gli elettori a sapere chi potranno votare nel futuro in virtù delle azioni o delle omissioni. È facile dire ‘siamo accanto alla popolazione’: siamo stufi di questo parlar a vuoto. C’è bisogno della concretezza dei numeri, dei fatti, delle decisioni assunte o non assunte. Io vorrei sapere veramente cosa c’era scritto negli atti che Conte ha firmato e in che modo può aver rallentato un processo già attivato e in che modo tutti gli altri se ne sono o non se ne sono occupati. Politicamente sarebbe utile.

Questione elettori. Innanzitutto i partiti ambientalisti non fanno breccia nel cuore degli italiani. Inoltre in noi predomina spesso una sfida al destino: ‘intanto a noi non succede’.

C’è una responsabilità anche nostra, nel senso che la nostra formazione da cittadini non contempla questi aspetti come priorità, a differenza degli altri Paesi. Per quanto ho vissuto io, posso dirle che l’idea di vivere in zone a rischio idrogeologico non entra nella memoria collettiva. Nell’alluvione del 2011 i comportamenti individuali erano molto diversi tra le persone che avevano ricordo dell’alluvione del 1992-93 e quelle che non l’avevano vissuta, a cui mancava l’automatismo nei comportamenti. Lo Stato deve porsi il problema della prevenzione come educazione al rischio ambientale. Non bastano i messaggini che ti avvisano dell’allerta. Purtroppo ci sono delle resistenze fortissime, perché mettere nero su bianco che una zona è a rischio vuol dire abbattere il valore delle abitazioni.

A proposito di abitazioni, ad esempio, tantissime case sono costruite ai piedi del Vesuvio. Pannella fece una battaglia politica già negli anni 90 contro l’abusivismo in quelle zone. Ma tanti dicono: come lo vado a dire all’elettore che gli devo abbattere la prima casa?

Non c’è altra soluzione. Ci vuole naturalmente un progetto prima che dica dove poter trasferire le persone. E ha ragione Renzo Piano quando dice che i territori vanno ‘rammendati’, vanno ripensati. Vita e sicurezza sono la priorità, non sono negoziabili. Certo qui in Italia elettoralmente abbattere non paga. Io sono stata parlamentare europea: un grande esempio di saggezza che viene dalle istituzioni europee è quello per cui le decisioni che si prendono hanno una tempistica che non coincide mai con quella della durata del mandato in corso. Casomai sette anni sono considerati lunghi ma vi si succedono più amministrazioni e la responsabilità è condivisa.

A proposito di sindaci, invece, si parla anche di rivedere la norma sull’abuso di ufficio.

Non sarei per l'abolizione tout court. Bisogna affrontare la questione con cautela.

Che è la posizione del Partito democratico.

Io non sono più nel Pd ma spero che si rifondi. E vorrei contribuire al dibattito.

Adesso fa politica?

In altro modo, come si può fare sempre, in mezzo alle persone e nelle associazioni. È dai tempi del renzismo che non sono più iscritta al Pd, con cui ero arrivata già con molta sofferenza. Adesso vorrei poter ancora dare il mio contributo di idee e partecipazione ma al momento non si capisce come e dove farlo.

Chi vedrebbe come nuovo leader?

Al momento non saprei. Sono rimasta un po’ all’antica e vorrei vedere i programmi di chi si candida.

Durante la sua vicenda giudiziaria il Pd le è stato accanto?

Il Pd è scappato, sparito, ma non è per questo che non ho preso la tessera.