Dopo gli attacchi dei miliziani di Hamas del 7 ottobre e la dura reazione di Israele, in molti hanno auspicato una presa di posizione chiara del procuratore della Corte penale internazionale, Karim Khan. Il suo silenzio, durato diversi giorni, è stato interpretato (male) da alcuni osservatori che gli hanno attribuito un atteggiamento arrendevole e superficiale. Niente di tutto ciò.

Il procuratore della Cpi ha rotto il silenzio. Lo ha fatto con una lunga dichiarazione, dopo aver tentato, senza successo, di entrare nella Striscia di Gaza attraverso il valico di Rafah lo scorso 29 ottobre. La presa di posizione dell’avvocato britannico, alla guida della procura dell’Aja, è stata chiara su come si procederà rispetto a quanto sta accadendo in Medio Oriente. Alcuni retropensieri e preconcetti sono stati, dunque, dissolti.

«Voglio chiarire – ha detto Karim Khan - che il mio ufficio si occupa di condurre indagini penali credibili, pertinenti, professionali e indipendenti. Per questo, come fatto in passato, anche in futuro non farò commenti sui social media o altrove sullo stato delle indagini riguardanti i fatti del 7 ottobre o di qualsiasi altra situazione».

A questo punto un passaggio chiarificatore: «Badiamo bene, l’assenza di commenti non significa l’assenza di indagini. La presa di ostaggi rappresenta una grave violazione delle Convenzioni di Ginevra. Costituisce un reato specifico ai sensi dello Statuto di Roma. Chiedo, quindi, il rilascio immediato di tutti gli ostaggi prelevati in Israele affinché ritornino sani e salvi per riabbracciare le loro famiglie».

Nessuna deroga, secondo il procuratore della Corte penale internazionale, per chi viola il diritto internazionale. «In momenti come questo – ha evidenziato -, come ho costantemente affermato da quando ho iniziato a ricoprire il mio incarico, abbiamo bisogno della legge più che mai. Non il diritto in astratto, non il diritto come teoria per accademici, avvocati e giudici. Dobbiamo vedere la giustizia in azione. Le persone hanno bisogno di vedere che la legge ha un impatto sulle loro vite. E questa legge, questa giustizia, deve concentrarsi sui più vulnerabili. Quando sono diventato procuratore nel giugno 2021, ho istituito per la prima volta una squadra dedicata per indagare sulla situazione della Palestina. Negli ultimi due anni, mentre chiedevo, sollecitavo, invocavo interventi aggiuntivi, ho anche aumentato costantemente le risorse e il personale per le indagini sulla Palestina. L’ho fatto per poter adempiere al meglio al mio incarico».

La Corte penale internazionale indaga e continuerà a farlo per individuare i responsabili di vari crimini, commessi a Gaza, in Palestina e in Israele. «Abbiamo guardato con orrore le immagini provenienti da Israele il 7 ottobre», ha commentato Khan. «Bambini, uomini, donne e anziani non possono essere strappati dalle loro case e presi in ostaggio, qualunque sia la ragione. Quando si verificano questi tipi di atti, non possono rimanere senza indagini e non possono rimanere impuniti. Questo crimini a cui tutti abbiamo assistito costituiscono gravi violazioni, se provate, del diritto internazionale umanitario. La giurisdizione della Cpi concerne qualsiasi crimine rientrante nello Statuto di Roma, commesso da cittadini palestinesi o da cittadini di qualsiasi Stato sul territorio israeliano, se ciò viene dimostrato. Sebbene Israele non sia un membro della Corte penale internazionale, sono pronto a lavorare con parti statali e non statali per perseguire gli autori dei crimini. Il mio obiettivo principale deve essere quello di ottenere giustizia per le vittime e di sostenere la mia solenne dichiarazione ai sensi dello Statuto di Roma, come procuratore indipendente, esaminando in modo imparziale le prove e rivendicando i diritti delle vittime sia che si trovino in Israele sia che si trovino in Palestina».

Al centro delle riflessioni di Khan ci sono sia i responsabili degli eccidi del 7 ottobre sia lo Stato di Israele, che «ha obblighi chiari in relazione alla sua guerra con Hamas». «Non solo obblighi morali – ha aggiunto il procuratore -, ma obblighi legali di rispettare le leggi dei conflitti armati. È scritto nello Statuto di Roma. È lì, nero su bianco. È presente nelle Convenzioni di Ginevra ed è scritto chiaramente. Israele ha un esercito professionale e ben addestrato. Hanno avvocati tra i più importanti generali e un sistema volto a garantire il rispetto del diritto umanitario internazionale. Hanno avvocati che forniscono consulenza sulle decisioni mirate che si stanno prendendo e non ci sarà alcun malinteso sui loro obblighi o sul fatto che dovranno essere in grado di rendere conto delle loro azioni».

«Dovranno dimostrare che qualsiasi attacco, che colpisce civili innocenti o beni protetti, deve essere condotto in conformità con le leggi e le consuetudini di guerra, in conformità con le leggi dei conflitti armati. Devono dimostrare la corretta applicazione dei principi di distinzione, precauzione e proporzionalità. Voglio essere molto chiaro, affinché non ci siano malintesi. Le abitazioni, le scuole, gli ospedali, le chiese, le moschee sono luoghi protetti, a meno che lo status di protezione non sia stato perso. E voglio che sia altrettanto chiara un’altra cosa: l’onere di provare la perdita dello status di protezione spetta a chi spara con la pistola e a chi lancia missili o razzi». Più chiaro di così Karim Khan non poteva essere. Con buona pace dei malpensanti.