Attenzione. Il disagio o, peggio, l’ira degli onesti merita attenzione massima; e occorre scomporre i problemi, affrontandoli pezzo per pezzo nella ricerca di soluzioni adeguate per ciascuno. Con il contributo di tutti, maggioranza e opposizione. Se non si fa così, è in pericolo la coesione sociale: un rischio che non possiamo permetterci. È il ragionamento di Luciano Violante. Che rigetta facili accuse e polemiche strumentali. «Guardiamoci intorno - spiega - in Francia, Spagna, Gran Bretagna, Germania, Usa. Ovunque la situazione- Covid è la stessa, con ricadute a volte più drammatiche che da noi. Questo tipo di pandemia scompagina categorie acquisite. Ci sono Paesi dove gli anziani sono stati invitati a non andare in ospedale per lasciare posto ai giovani. È utile anche guardare fuori delle mura di casa. Stiamo vivendo lo scontro tra una novità sconvolgente e strutture impreparate anche per il carattere assolutamente inedito della pandemia. Anche dal punto di vista psicologico. Durante la prima ondata il mood dei cittadini era “ce la faremo” o anche “ci siamo riusciti”. In questa seconda, il sentimento è ben diverso. Perché è venuto meno il senso comunitario che aveva accompagnato l’arrivo del virus. Le emergenze illuminano spietatamente le disfunzioni».

Presidente, a lungo è stato esaltato il modello italiano che tuttavia adesso non si dimostra adeguato. Cos’è stato sbagliato, cosa non è stato fatto?

«Sono prudente con la categoria dell’errore. C’è qualcuno che ha fatto così bene da non soffrire ora? I cinesi, forse. Giovandosi però di un apparato culturale gerarchico e strutture poliziesche onnipotenti improponibili in Occidente, per fortuna. In nessun Paese c’è soddisfazione per le decisioni dei governi. E molti dei critici di adesso a suo tempo negavano una seconda ondata e perfino l’esistenza stessa del virus. O l’utilità delle mascherine, da togliere e basta. Analizziamo più a fondo. E’ venuto in luce un aspetto specifico. Il policentrismo italiano è stato giocato, a differenza di quanto chiesto dal capo dello Stato, non sul versante di una leale collaborazione tra istituzioni ma più spesso sul piano concorrenziale. Ma ci sono anche elementi incoraggianti. Come Fondazione Leonardo abbiamo svolto una ricerca su Pandemia e Democrazia con la partecipazione di più di 50 studiosi delle maggiori università italiane; emerge la bontà del modello veneto come presenza sul territorio e investimenti in infrastrutture sanitarie. Bisogna guardare dentro le difficoltà che certamente esistono, mantenendo un approccio che tenga conto anche delle cose positive fatte. Governare è complicato, in questo frangente lo è ancor più. Penso che mai come ora suggerimento costruttivi andrebbero forniti...».

La interrompo subito, presidente: sta chiedendo governi di unità nazionale forse?

«No. Cerchiamo di capire. Il rapporto tra poteri nazionali e locali va gestito in modo sinergico. E la sinergia va suscitata innanzi tutto dal governo. Lavorare insieme deve essere un impulso che parte da Roma per dispiegarsi nelle amministrazioni territoriali».

E perché questi inviti all’opposizione il governo Conte non li fa?

«Beh, il tango si balla in due. Non è possibile che tutte le proposte del governo siano sbagliate; non è possibile che tutte le proposte dell’opposizione siano da gettare nel cestino. Se dal governo si accogliesse una proposta delle opposizioni che funziona, il clima si svelenirebbe immediatamente. E anche nel Paese, tra i cittadini, si rafforzerebbe il modello dello stare insieme. Altrimenti vince uno spirito oppositorio fine a sè stesso».

Scusi, insisto: niente larghe intese ?

«Io dico questo: ci vorrebbe una spinta in più nei confronti dell’opposizione. Ma, appunto, non per fare la Grande Coalizione. Sono cose distinte. Nel senso che tu puoi trovarti benissimo in una situazione emergenziale che impone di cooperare strettamente con l’opposizione senza confusione di ruoli. Non bisogna fare per forza un governo insieme: basta un minimo di senso di responsabilità adeguato alle circostanze perché si arrivi ad un fruttuoso confronto maggioranza- opposizione. L’abbiamo fatto ai tempi del terrorismo, costruendo un argine a difesa delle democrazia».

E così torniamo alla moral suasion, ripetuta ma inascoltata, del capo dello Stato.

«Esattamente. Bisogna impegnarsi, da una parte e dall’altra, a ricercare momenti non occasionali di collaborazione sincera e fruttuosa».

Puntando alla salvaguardia della coesione nazionale: perché poi il rischio è quello no?

«Infatti. Il punto è la salvaguardia della coesione prima ancora dell’unità. Sono due cose diverse. L’unità è un dato ideologico, la coesione è un dato strutturale».

I disordini e le violenze di piazza di queste ore sono la spia della coesione che va in frantumi?

«Nelle manifestazioni di Napoli, Torino, Roma c’erano senz’altro frange criminali. Ma stiamo attenti: queste ultime si muovono quando c’è l’acqua in cui nuotare...».

Ecco, questo mi pare l’elemento fondamentale. Quanto dobbiamo preoccuparci, presidente, di una possibile bomba sociale che alimenta spinte disgregatrici dove la criminalità si insinua?

«Il crimine si inserisce dappertutto, in particolare dove ci sono difficoltà. E’ calcolatore. Gli effetti sociali della pandemia andrebbero presi in esa- me con grande serietà. Ho ascoltato con attenzione le spiegazioni del presidente del Consiglio, in gran parte convincenti. Però c’è un punto: la storia della chiusura alle 18 per ristoranti, bar, eccetera. Gli esercenti verranno sicuramente risarciti ma va spiegato perché non si può, con tutte le cautele possibili, andare a cena alle 20. I teatri e i cinema: qual è la ratio di chiuderli e basta pur se i posti a sedere sono distanziati? Intervenire è giusto e necessario: vediamo però se esistono misure alternative» .

Per quale obiettivo, presidente?

«Molto semplice. Il malessere sociale va scomposto, analizzando i singoli pezzi e agendo su ognuno separatamente. Per questo la solidarietà è necessaria. Non ci troviamo di fronte a un male da aggredire. Piuttosto un male da scomporre».

Infatti. Siamo al nodo vero. C’è una lettura, come dire, superficiale, che tende a dire che le violenze di piazza sono frutto di neofascisti, teppisti, centri sociali eccetera...

«È una lettura consolatoria; anzi per meglio dire liberatoria. Che non aiuta a risolvere il problema. La domanda giusta è: il malessere esiste o no? I cittadini onesti esprimono una disperazione, una impotenza. Attenti all’ira degli onesti. Nel Paese aleggia un sentimento forte di smarrimento. Da affrontare, non esorcizzare. Per questo dico che il malessere va scomposto. Per intenderci: è possibile prendere accordi con Federalberghi per utilizzare le strutture vuote per fare lezione scolastiche in presenza? Idem per le sale cinema e i teatri: non si possono prendere accordi con le scuole per poterne usufruire? Non si possono utilizzare i trasporti privati in aggiunta a quelli pubblici? Impiegando taxi e pullman a noleggio? Scomponendole, le difficoltà si possono affrontare una alla volta e magari risolvere. E se se ne risolve una, a cascata possono risolversene altre. Se poi non si può fare, bisogna spiegarne con chiarezza e pazienza le ragioni. Così può anche cambiare l’atteggiamento psicologico delle persone, la loro “condizione spirituale”. Nessuno può alzare il ditino e dare lezioni. Ma è giusto interrogarsi sul tempo che viviamo. Siamo in un cambiamento d’epoca e le transizioni vanno accompagnate e guidate dalle classi dirigenti.».

Presidente, accanto alle altre c’è un’area che soffre: quella del servizio della giustizia. I tribunali sono o rischiano la chiusura, sui processi a distanza ci sono divaricazioni tra magistrati e avvocati, e così via. Come si risolve?

«Ho visto che è stato autorizzato il deposito digitale degli atti. Va bene. Però c’è bisogno che i cancellieri che lavorano da casa possano accedere alla cancelleria, altrimenti che senso ha? I processi penali non sono mica tutti uguali: tra omicidio stradale e assassinii di mafia la differenza è enorme. Anche qui: scomponiamo i problemi e troviamo singole soluzioni. L’intelligenza artificiale può essere applicata agli affari più semplici al fine di decongestionare le cancellerie. La Storia ci insegna che tutte le tragedie hanno avuto un inizio e una fine. Il problema è che tipo di fine. Non ci sono bacchette magiche. Le cose vanno gestite, e la pandemia non fa eccezione. Serve uno sforzo collegiale come richiamato dal presidente Mattarella. La chiave giusta è questa».

Qual è a suo avviso il confine da non oltrepassare tra libertà individuale e tutela della sicurezza e della salute di ogni cittadino? Il confine tra “oltre non si può andare” e “meno non si può fare”?

«Bella domanda. Non esiste un parametro uniforme. Come ha detto la presidente Marta Cartabia, tutti i diritti sono bilanciabili, non esistono diritti assoluti. Siamo in una condizione per cui ognuno rischia di essere un pericolo per l’altro. Bisogna evitare che tu sia un pericolo per gli altri e gli altri un pericolo per te. Questo bisogna fare».

Lei è stato presidente della Camera. È d’accordo sul voto a distanza?

«Il Parlamento è il luogo del confronto e della discussione, non semplicemente l’officina del voto. Chi pensa questo, è lontano dalla verità. In linea di massima sono contrario, ma in presenza di situazioni così gravi occorre trovare strumenti che consentano di funzionare con tutte le cautele del caso. Il voto a distanza può essere accolto ma come elemento emergenziale, non come alternativa alla presenza in aula» .