«Invocare “pene esemplari” forse può soddisfare l’esigenza di restituire un segnale rispetto all’emergenza legata alla violenza di genere. Ma difficilmente l’inasprimento delle pene potrà arginare o addirittura porre fine al fenomeno dei femminicidi. Ciò che serve è un cambiamento culturale e sociale». Ne è convinto Francesco Greco, presidente del Consiglio nazionale forense, che dopo i recenti fatti di cronaca chiama a raccolta l’avvocatura per sollecitare un impegno maggiore, anche all’interno delle professioni, sul fronte dell’educazione. Proprio da qui, dalle scuole, bisogna partire per scardinare una cultura basata sulla sopraffazione, anziché sulla condivisione e sul rispetto dell’altro.

In questo senso l’avvocatura, baluardo dei diritti, può rivelarsi una grande alleata. Ed è proprio in quest’ottica che si inserisce anche l’iniziativa promossa dalla Commissione pari opportunità del Cnf e dalla Fondazione dell’avvocatura italiana (Fai) in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, che ricorre il 25 novembre. L’appuntamento è in programma questo sabato in piazza dell’orologio a Roma, davanti alla sede amministrativa del Cnf, dove sarà posizionata un’installazione artistica: un tunnel costellato luci, ognuna delle quali rappresentata una storia, un nome da non dimenticare, una vittima di femminicidio.

Presidente, la tragedia di Giulia Cecchettin ha riaperto il dibattito sulle attività di contrasto alla violenza di genere. E le nuove norme allo studio, approdate in Senato dopo l’approvazione alla Camera, hanno l’obiettivo di rafforzare la disciplina del Codice Rosso, che già aveva portato all’inasprimento delle pene.

Sono molto preoccupato, oltre che addolorato, per la vicenda di Giulia e per i dati sulla violenza diffusi negli ultimi giorni. In un quadro generale in cui il numero di omicidi nel nostro paese è fortunatamente in diminuzione, apprendiamo che il numero di femminicidi è invece in aumento. E questo è un dato estremamente significativo del momento culturale che il nostro paese sta vivendo, e sul quale occorre riflettere. In generale sono sempre un po’ scettico rispetto ai provvedimenti adottati sulla scorta dell’emotività e della cronaca. Non ritengo, ecco, che la soluzione possa ridursi nell’inasprimento delle pene.

Come bisognerebbe agire, a suo parere?

È necessario un cambiamento culturale e sociale, anche attraverso il Codice rosso, che probabilmente ha bisogno di qualche aggiustamento: troppo spesso sentiamo di vittime che avevano allertato le forze dell’ordine o l’autorità giudiziaria senza che ne siano seguiti provvedimenti. Penso a un movimento culturale che parta dall’educazione dei bambini e degli adulti, nelle scuole e nelle università, per scardinare il “modello del più forte” che si è imposto negli ultimi vent’anni. E probabilmente bisogna impegnarsi di più anche all’interno delle professioni.

Che ruolo immagina per gli avvocati?

Noi avvocati, che abbiamo una cultura giuridica e umanistica, dobbiamo impegnarci maggiormente per aumentare la nostra presenza nella società e diffondere messaggi ispirati ai valori fondamentali della convivenza. Il Cnf lo fa già, con un programma sul quale siamo molto impegnati. Ma credo che dovremo fare uno sforzo in più, per diffondere la cultura del rispetto e del dialogo.

Anche nelle aule di tribunale?

Nell’aula di udienza ciascuno ha il suo ruolo. I giuristi hanno un ruolo all’interno dell’attività giudiziaria, certo, ma anche al di fuori di essa. Tutti dobbiamo fare la nostra parte. Noi come i media, che devono impegnarsi a diffondere messaggi che non siano portatori di violenza. Una società non può fondarsi sulla cultura della forza.

Sabato il Cnf sarà in piazza dell’orologio a Roma con un’iniziativa dedicata alle vittime di femminicidio, proprio con l’obiettivo di trasmettere un messaggio di segno opposto.

Sono fermamente convinto dell’importanza della funzione sociale dell’avvocatura. Noi avvocati abbiamo un ruolo al di fuori delle aule di tribunale, e anche nelle carceri, rispetto al fine rieducativo della pena e alla diffusione dei principi fondamentali della nostra Costituzione. Il Cnf sta lavorando in questa direzione anche riallacciando i rapporti, già in essere, con il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale.

L’impegno del Cnf in questi anni si è esteso anche a livello internazionale, per ciò che riguarda la violazione dei diritti umani e gli abusi subiti dalle avvocate che si sono battute su questo fronte.

Proprio questa settimana proporrò al plenum l’istituzione di un “Premio Nasrin Sotoudeh”, dedicato alla nostra collega iraniana che ha messo a rischio la propria vita per la difesa dei diritti. Un premio ispirato alla sua funzione di avvocato nel mondo, da attribuire annualmente a persone della società civile che si siano contraddistinte per l’attenzione al tema della violenza, in tutte le sue forme, e alla tolleranza. L’attività di Nasrin deve essere di esempio per tutti noi. Perché sono da sempre convinto che noi avvocati di tutto il mondo, con le nostre diverse culture, costumi e leggi, vogliamo tutti la medesima cosa: tutelare i diritti.

Tornando all’Italia, lei di recente ha richiamato l’attenzione su una particolare forma di violenza: quella economica. E ha riportato i dati non proprio confortanti sulla disparità di reddito delle professioniste.

Questo è un ulteriore elemento che mi vede impegnato personalmente. In un momento di crisi economica generale, la flessione dei redditi riguarda tutti. Ma, secondo i dati diffusi dalla nostra Cassa di previdenza, questa flessione va ad aggiungersi a una situazione reddituale particolarmente delicata, per le nostre colleghe. E questo noi avvocati non lo possiamo tollerare. Per questo ho intenzione di porre l’argomento al prossimo Congresso nazionale forense, che si terrà a dicembre a Roma: il gender gap è uno dei temi su cui l’assise dovrà confrontarsi e riflettere. Qualche proposta è già sul tavolo, e mi auguro, se ci sarà condivisione, di poterle sottoporre alla politica.