«Da diversi anni ormai sono coinvolto nelle attività di istituzioni e associazioni forensi. Ho presente come andò con la legge professionale nel 2012. Posso dire con assoluta cognizione di causa che mai l’avvocatura aveva formulato una proposta di riforma ordinamentale così condivisa. Mai si era assistito a un così ampio coinvolgimento di tutte le rappresentanze dell’avvocatura. Mai era stato compiuto un lavoro preparatorio così approfondito, così scrupoloso e con una partecipazione così democratica come nel caso dei tavoli da cui è nata questa proposta. Ecco, il governo ha apprezzato uno spirito di condivisione così autentico. Ha apprezzato che una professione articolata e con molti diversi ambiti al proprio interno sia riuscita a produrre uno sforzo comune così efficace».

Francesco Greco, a poche ore dal via libera in Consiglio dei ministri al ddl delega di riforma forense, si compiace soprattutto di un percorso che ha ben realizzato le premesse. Guarda con «grande soddisfazione», come ha dichiarato giovedì sera poco dopo che l’Esecutivo aveva deliberato la presentazione della legge delega, alla valorizzazione dell’impegno comune di tutto il mondo forense.

Alcuni sostengono, presidente Greco, che in Parlamento ci sarebbe un partito trasversale degli avvocati. In realtà la storia di questa riforma forense dimostra come gli avvocati siano capaci di offrire al legislatore un contributo tecnico normativo di grande qualità proprio nella materia per loro più importante: il futuro della professione.

Sicuramente il testo messo a punto dai tavoli istituiti su mandato dei congressi nazionali forensi di Roma e Lecce è molto dettagliato, contiene parola per parola tutti gli aspetti sui quali si è ritenuto di dover dare agli avvocati una nuova prospettiva. Lo abbiamo trasmesso al Parlamento e al governo, e il ministero della Giustizia guidato da Carlo Nordio ha tenuto in ampia considerazione il nostro articolato. Sulla scorta dei quelle direttrici, ha redatto un disegno di legge delega, condiviso quindi con l’intero governo. Ecco, credo sia davvero importante ricordare, a proposito della condivisione, che alla stesura della nostra proposta di riforma hanno contribuito, oltre al Cnf, l’Organismo congressuale forense, gli Ordini distrettuali, rappresentanti degli Ordini circondariali e delle Unioni territoriali forensi, i Comitati Pari opportunità, i Consigli distrettuali di disciplina e le numerose associazioni, generaliste e specialistiche, dell’avvocatura. È stato un anno e mezzo di lavoro scrupolosissimo e accurato: un tavolo, che ho presieduto personalmente, ha definito i principi fondamentali della professione, uno le regole per l’accesso, un terzo si è occupato della formazione permanente, un quarto delle forme di esercizio dell’attività e il quinto della materia disciplinare.

Difficile in effetti vedere un prodotto legislativo preceduto da uno studio simile.

Si tenga presente che in tutti i casi in cui, in ciascuno dei tavoli, una certa modifica su un determinato principio non aveva incontrato la necessaria convergenza, la questione è stata accantonata in modo da poterla ridiscutere in un’assemblea plenaria a cui hanno preso parte gli avvocati di tutti e cinque i tavoli, per arrivare alla formulazione finale. E in effetti, un lavoro simile è tanto più da considerare se si ha presente quanto sia articolata al proprio interno l’avvocatura: civilisti, penalisti, amministrativisti, tributaristi, e poi settori ancora più specifici, dal diritto di famiglia al commerciale. Lo ripeto, tengo davvero a dirlo: in tanti anni di attività forense non avevo mai visto, mai, un lavoro di elaborazione condivisa così partecipato.

Naturalmente nel ddl delega, per la stessa forma legislativa adottata, materie specifiche come la monocommittenza sono definite secondo i principi essenziali: il dettaglio resta affidato ai decreti legislativi.

In casi come la monocommittenza è evidente come le novità introdotte abbiano un impatto giuridico, normativo, molto trasversale, e come l’Esecutivo abbia perciò ritenuto di poter entrare nel dettaglio con la fase dei testi attuativi.

Di questa considerazione della politica verso lo sforzo di autoriforma, gli avvocati possono essere orgogliosi?

Possono esserlo considerate anche le così significative novità apportate al nostro ordinamento. Basti pensare alla flessibilità di un nuovo strumento come il contratto di rete, che consente anche a due soli avvocati di creare una sinergia con altre figure professionali persino per un singolo incarico. È una soluzione molto più snella, e dunque accessibile ed efficace, rispetto ad altre già disponibili.

Avete scelto un approccio di un certo maggiore rigore per le regole sull’accesso: perché?

Perché con le regole pregresse eravamo arrivati al punto che si può diventare avvocati senza mettere, praticamente, piede in uno studio legale o in un ufficio giudiziario. Con questa riforma non sarà più possibile. Se è un ritorno al passato, lo abbiamo ritenuto assolutamente necessario. Non puoi pensare di occuparti dei diritti delle persone senza mai essere passato dall’astrazione dello studio dei testi alla concretezza reale del diritto.

Nelle prime righe della vostra proposta, trasferite dall’Esecutivo nel disegno di legge, c’è il richiamo agli stessi princìpi, “la libertà” e “l’indipendenza” dell’avvocato, che avrebbero dovuto essere inseriti nell’avvocato in Costituzione. Una volta che sarà in vigore la nuova legge forense, sarà ancora più vistoso il ritardo nel riconoscimento costituzionale?

È lo spirito che ci ha orientati. La riforma costituzionale della giustizia, come sappiamo, è un percorso complesso. In generale, le leggi costituzionali implicano tempi non comprimibili, e abbiamo pensato fosse giusto richiamare quei princìpi, intanto, per legge ordinaria. Il che non significa rinunciare al progetto dell’avvocato in Costituzione: anzi, ci sembra appunto la strada più seria per creare le premesse di quell’ulteriore riconoscimento.

Ed è anche alla luce di quell’affermazione valoriale che il ministro Nordio ha compreso l’importanza della nuova legge forense?

Che il ministro della Giustizia sia stato sempre molto attento e impegnato nel portare avanti, e condividere con l’intero governo, la riforma forense, credo sia chiaro a tutti. Com’è indiscutibile, mi sembra, il suo rammarico per non aver potuto già dare seguito al riconoscimento costituzionale dell’avvocato. Ma sul fatto che il guardasigilli personalmente e l’Esecutivo in generale abbiano a cuore l’importanza della professione forense, non ci sono discussioni.