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FRANCESCO GRECO, PRESIDENTE DEL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE
Non c’era stato modo di far digerire ai magistrati che nella riforma del loro ordinamento fosse sancito anche il rilievo costituzionale dell’avvocato. Ma i due principi che giustificano l’accostamento, nell’articolo 111, della professione forense al giusto processo sono l’architrave della nuova legge professionale, varata ieri in Consiglio dei ministri: “libertà” e “indipendenza”.
Due espressioni che erano evocate anche nella bozza del cosiddetto avvocato in Costituzione. E che però ora sono scolpite in un testo destinato, nelle intenzioni del governo e innanzitutto del guardasigilli Carlo Nordio, a essere approvato, nel giro di pochi mesi, sotto forma di legge delega. La “libertà e l’indipendenza” dell’avvocato e il suo “ruolo fondamentale per il rispetto dei principi dello Stato di diritto” dovrebbero dunque diventare legge della Repubblica.
È giusto partire da qui per riassumere il senso di un via libera che il Consiglio dei ministri ha pronunciato ieri, dopo averlo “sospeso” a inizio agosto, per sottoporre l’articolato proposto dalla stessa avvocatura a un’ulteriore opera di “drafting”. Ora il testo c’è, tocca alle Camere esaminarlo, votarlo e far partire così il countdown fissato per l’emanazione dei decreti legislativi, che dovranno dare attuazione formale alle novità introdotte nell’ordinamento forense: il tempo a disposizione, per i testi delegati, sarà di 6 mesi. Termine giustamente ristretto se si considera che restano a disposizione due anni di legislatura, nei quali l’affollamento dell’agenda parlamentare sarà da bollino nero.
D’altronde, l’assoluta convinzione dell’Esecutivo nel ridefinire principi e regole della professione di avvocato è certificata dalle parole di Giorgia Meloni, che definisce «il ruolo dei professionisti» fondamentale per il «rilancio dell’Italia: questo governo ne riconosce da sempre la specificità», rivendica la premier, «e ha scelto di approvare un pacchetto di provvedimenti atteso da anni», incluso il ddl dedicato alla «professione forense». Sono «misure che nascono dal proficuo confronto con i professionisti e che rappresentano un ulteriore passo in avanti», aggiunge la presidente del Consiglio.
Ha espresso subito «grande soddisfazione e apprezzamento» il presidente del Cnf Francesco Greco, che parla di «passo significativo nella valorizzazione dell’avvocatura come custode della libertà e dei diritti. Accogliamo questa riforma come un’opportunità per rendere la professione più moderna, inclusiva e vicina ai bisogni della società», aggiunge Greco, «nel pieno rispetto dei valori costituzionali che ci ispirano». È il presidente del Cnf a riassumere alcuni dei contenuti qualificanti inseriti nella riforma: «Particolarmente apprezzabili sono le innovazioni in materia di compensi, l’investimento nella formazione di qualità per accompagnare i giovani nell’accesso e nella crescita professionale, i principi a garanzia dell’indipendenza dell’avvocato nello svolgimento della sua attività, il rafforzamento del segreto professionale, la riscrittura, in una prospettiva più attuale, del regime delle incompatibilità e la riorganizzazione del procedimento disciplinare e istituzionale. È un testo», conclude Greco, «che riconosce la funzione sociale della nostra professione, tutela i cittadini e ribadisce la centralità dell’avvocato nel sistema di giustizia».
Com’è noto, il ddl delega che ieri ha ottenuto il via libera a Palazzo Chigi è frutto di un’elaborazione in quattro successive fasi: il dibattito a cui si è dato vita nelle ultime sessioni del congresso nazionale forense; la decisiva messa a punto a cui, su mandato congressuale, si è dato vita nei tavoli aperti al Cnf, col contributo dell’Ocf, di tutte le componenti istituzionali e delle maggiori rappresentanze associative della professione; quindi il lavoro dell’Ufficio legislativo di via Arenula, che ha tradotto la proposta formulata dal mondo forense in ddl delega; fino alla dialettica conclusiva fra lo stesso ministero guidato da Carlo Nordio e la Presidenza del Consiglio.
Riguardo al contenuto, viene confermato in gran parte il testo elaborato dall’avvocatura. È il caso di ricordare che le leggi delega non scadono con lo spirare della legislatura in corso: se per i decreti legislativi (o il decreto, che potrà essere unico) non fossero partoriti entro il 2027, potrà essere il governo espressione del futuro Parlamento a farsene carico, ma sempre nel rispetto dei principi direttivi fissati dal testo deliberato ieri. A tal proposito, va detto che il disegno di legge è sì dettagliato, ma è diviso in soli tre articoli: il primo fissa termini e scadenze della delega, il secondo, il più ampio, contiene tutti i “principi e criteri direttivi”, mentre il terzo articolo è, come sempre, destinato alla clausola di invarianza finanziaria.
Nel nuovo quadro ordinamentale spiccano, come noto già dalla conclusione dei tavoli post congressuali, le novità in materia di esercizio della professione, e in particolare la previsione delle “reti”, con la specifica che “alle reti multidisciplinari debbano partecipare almeno due avvocati iscritti all’albo”. Com’è noto il superamento dell’incompatibilità tra professione forense e cariche societarie apicali.
Riguardo ai compensi, il decreto delegato dovrà stabilire che la loro determinazione “avvenga mediante libero accordo tra le parti, fatta eccezione per le situazioni regolate dalla normativa sull’equo compenso”, e che “potrà essere correlato al conseguimento degli obiettivi prefissati”. Imprescindibilità dell’avvocato “blindata” dalla norma per cui “ferme restando le competenze attribuite dalla legge ad altre professioni regolamentate”, è prevista la “nullità di ogni pattuizione avente a oggetto il pagamento di corrispettivo, in qualunque forma, in favore di soggetti non iscritti all’albo degli avvocati quale compenso per attività di consulenza legale e assistenza legale, ove connesse all’attività giurisdizionale”. Inoltre, “atti aventi rilevanza giuridica per l’ordinamento” saranno considerati “nulli o annullabili ove compiuti senza assistenza legale”.
Le prove scritte da superare, nell’esame di abilitazione, diventano due: un “parere motivato” e un “atto giudiziario”. La parte conclusiva dei principi è riservata alle numerose novità in ambito disciplinare, dalla prescrizione, con termine massimo di sette anni e sette mesi dal fatto, alla “riabilitazione per gli avvocati sanzionati (esclusi i radiati), ottenibile una sola volta”.