Di solito le commissioni ministeriali si riuniscono una mezza dozzina di volte, poi il presidente mette giù una relazione, la invia al ministro, al più viene audito una tantum alle Camere e la cosa si estingue lì. Ma Nicola Gratteri non fa il burocrate. Le “proposte normative” della sua commissione sulla “lotta, anche patrimoniale, alla criminalità organizzata” sono pronte da oltre un anno e mezzo e non si dissolvono in un’erudita relazione: l’attuale procuratore di Catanzaro ne ha fatto un vero e proprio articolato, una “riforma pronto uso” del codice Antimafia. Continua a fare audizioni in Parlamento, a sollecitare a ogni intervista o convegno l’adozione dei suoi suggerimenti, come un padre che non abbandona la sua creatura. Lo fa anche alla “giornata di studio” organizzata presso la Cassa forense da Unitelma, l’ateneo telematico della Sapienza. Dove si concede una battuta sulle fiction alla Gomorra, che «sono il male» della lotta alle mafie. E batte su un tasto in particolare: «Dobbiamo conquistare il consenso di cui oggi gode la criminalità organizzata».Si spieghi meglio.La mafia è ossessionata dal consenso popolare. Nelle intercettazioni i boss ne parlano di continuo, si preoccupano di dare risposte sociali. Se non seguissero questo schema non sarebbero mafie.È la lezione di Diego Gambetta, il sociologo italiano che ‘insegna mafia’ a Oxford.Noi, i magistrati, lo Stato, dobbiamo avere questa preoccupazione: essere credibili e dare risposte alla gente comune. Sa cosa significa?Lo dica.Non stare esclusivamente dietro ai reati di mafia, perseguire tutto. Anche i furti e le piccole truffe. Chi denuncia questi reati deve avere risposte, perché quella stessa persona domani andrà a denunciare un’estorsione.Davigo dice che le misure anticorruzione varate finora non servono a niente. Lei dice la stessa cosa di quelle già messe in campo contro la criminalità?Dico che c’è un passaggio chiave: bisogna velocizzare il processo. In realtà alcune delle nostre proposte sono già state recepite nel ddl di riforma penale, ora all’esame del Senato. Altre andranno a modificare il codice antimafia. C’è una cosa che considero prioritaria: superare la norma che impone di ripetere l’escussione dei testimoni in caso di trasferimento di uno dei giudici del collegio.Ma così viene negato il principio dell’oralità, che è un cardine del processo.E invece no, perché tutte le deposizioni sarebbero registrate. Non solo in audio ma anche in video, in modo che il nuovo giudice possa riguardare tutto senza il bisogno di far tornare i testi in aula. Gli avvocati ricordano che il giudice si fa un’idea sull’attendibilità di una deposizione anche dall’espressione del teste. Con il video può vedere se il soggetto suda o arrossisce.Perché considera decisivo l’uso della tecnologia?Perché la prima causa di prescrizione dei processi è la ripetizione delle prove in caso di sostituzione del giudice. E perché il processo in videoconferenza potrà essere comunque usato anche in altri casi in modo da risparmiare ed evitare evasioni. L’articolo in cui abbiamo previsto questo sistema per tutti i detenuti di alta sicurezza è entrato appunto nel ddl di riforma penale già a Montecitorio. Anche l’avvocato può seguire a distanza, con una web cam, dal suo studio. Mentre partecipa in video all’udienza può consultare le sentenze della Cassazione dal pc.Non sono misure che ledono il diritto di difesa?No. Oltre a evitare rischi di fuga e a risparmiare almeno 70 milioni l’anno sulle traduzioni dalle carceri, si otterrebbe un altro risultato: evitare la concentrazione di 20-30 boss che seguono l’udienza nella stessa gabbia e stringono alleanze.Non può lamentarsi: il governo ha seguito una parte non piccola dei suoi suggerimenti.È così. Gli inasprimenti di pena per il 416 bis li abbiamo proposti noi. Lo schema del voto di scambio politico-mafioso viene sempre dal nostro articolato. Nel codice Antimafia entrerà anche l’accentramento a Palazzo Chigi dell’agenzia per le confische. A guidarla dovrà essere un manager, non un magistrato. Spesso le aziende confiscate falliscono, perché sono gestite male. E così certo lo Stato non accresce la propria credibilitàA proposito di immagine: cosa pensa di serie tv come Gomorra? Fanno il bene o il male della lotta alla criminalità organizzata?Il male. A cominciare dal film Il padrino, il peggior danno che la cinematografia avvia potuto arrecare in termini di approccio alla conoscenza della criminalità mafiosa. Tutto ciò che è fiction fa male alla lotta alle mafie. Crea eroi del male, induce a inneggiare a loro e qualcuno finisce per seguire quelle icone.