Non è che noi del “Dubbio” abbiamo la fissazione di fare le bucce a tutto quello che dicono i magistrati. Ne faremmo volentieri a meno. Il problema è che i magistrati parlano moltissimo, molto più - ad esempio - dei politici: escluso Renzi. Il numero di dichiarazioni che alcuni di loro rilasciano in un mese sono di gran lunga superiori al numero di sentenze che emettono o ottengono.Negli ultimi tempi i due più facondi sono stati il dottor Gratteri, procuratore di Catanzaro, e il dottor Davigo, presidente dell’Anm. Sono due persone sicuramente simpatiche e certamente oneste (Davigo è anche piuttosto colto).Ma con una idea evidentemente molto particolare del proprio compito. E del tutto all’oscuro, probabilmente, di quel vecchio e noioso principio della dottrina liberale che stabilisce che in uno stato di diritto i poteri sono separati e non sono previste invasioni di campo. Che vuol dire? Per esempio che il potere esecutivo non può intervenire nell’esercizio della giustizia. Non può stabilire se un processo si fa o se non si fa, o se le prove sono sufficienti, o se una sentenza va confermata o revocata. In Italia il potere esecutivo è ancora più limitato, perché non può intromettersi neppure nelle questioni che riguardano le carriere dei giudici, come invece succede in altri paesi dove la magistratura dipende dal ministero della Giustizia (in Francia, per esempio, o negli Stati Uniti). Questo stesso principio però prevede anche che i magistrati non devono impicciarsi di come si fanno le leggi, o - peggio - di come sono organizzati i partiti o le istituzioni rappresentative.Ecco, a Davigo e a Gratteri questa idea non entra in testa. E così nell’ultimo fine-settimana nuovamente hanno esternato con invasioni di campo. Il primo ha detto che i politici onesti dovrebbero rifiutare di sedersi accanto ai politici disonesti. Il secondo invece ha detto che i dipendenti pubblici, in Calabria, sono più pericolosi della ‘ndrangheta.La prima dichiarazione pone problemi di logica. La seconda problemi di diritto.Vediamo. E’ giusto che i politici onesti siedano lontani dai disonesti?  (intanto prendiamo atto della novità: Davigo ammette l’esistenza di politici onesti). Il problema è che la distinzione tra onesti e disonesti è complessa. Davigo probabilmente si riferisce a un famoso passo evangelico: «E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra». Il problema è che questo brano (che è di Matteo: Matteo l’evangelista....) si riferisce a un “lui” che non è il capo dell’Anm ma è Dio, o almeno suo figlio. Chi è che stabilisce -in assenza di dio - senza neanche un processo, chi siano gli onesti? Davigo, evidentemente, ha in mente una società organizzata non sulla giustizia ma sul sospetto. Il “sospetto” come Dio della politica. Nonvi sembra preoccupante che il capo dei Pm italiani abbia in mente questa idea? Non ci vedete un piccolo rischio di autoritarismo?Quanto a Gratteri il discorso è diverso. Il suo ragionamento in politologia viene definito, usualmente, di criminalizzazione. Ed è sempre grave criminalizzare una categoria. Ma è particolarmente grave se a farlo non è un opinionista reazionario, o un giornalista, o un politico populista, ma è un magistrato, o addirittura - come in questo caso - un Procuratore. Cosa deve pensare un lavoratore della PA, magari onestissimo (ce ne sarà qualcuno, no?) che si sente accusato dal Procuratore di essere peggiore della ‘ndrangheta?Il ragionamento di Gratteri può anche avere un fondamento. Nel senso che lui ci avverte che i mali della Calabria non sono solo nell’organizzazione della ‘ndrangheta. Ma il suo compito non è quello di guarire la Calabria ma quello di perseguire i reati. E’ questo che non gli entra in testa, in nessun modo. Lui resta convinto di non essere un semplice magistrato, ma di essere il messo del Signore, che punisce, e riforma, e vendica.