Il braccio di ferro sulle autostrade sarà l'ultimo fuoco dell'anno, salvo possibili imprevisti. Ma solo perché capodanno è ormai alle porte. Il 2020, nonostante l'enfasi posta dal Pd sulla verifica di gennaio, non andrà diversamente dallo scorcio di 2019 segnato dal governo giallorosa. Lo stesso ottimismo palesato a tratti dal Pd sembra infatti rispondere a una sorta di pensiero magico ed è del resto ampiamente controbilanciato dai continui penultimatum dello stesso Zingaretti: O si cambia passo o è inutile andare avanti. Per alcuni versi è più realistica l'opzione di Giuseppe Conte, che scommette sul cronoprogramma. Nessuna verifica, nessuna ricerca ultimativa di improbabili orizzonti strategici comuni, forse neppure illusioni di poter uscire davvero dal clima di rissa continua. Solo un'agenda che permetta però almeno di poter dire che qualcosa, oltre a evitare le elezioni per paura di perderle, il governo sta facendo. Ma anche da quella agenda, quando sarà stata messa a punto e poi strombazzata con grande e comprensibile fragore propagandistico, non bisogna attendersi troppo. Procederà a passo di lumaca, con abbondanza di rinvii e sovrabbondanza di vertici e riunioni notturne, perché il problema della maggioranza non è nel non essersi ancora fornita di un programma. Sta nel non averlo sin qui fatto per impossibilità di definire i provvedimenti nel merito e nei particolari, oltre che nei titoli che di per sé significano, come è noto, pochissimo. In realtà i problemi strutturali sono due: uno di sostanza strategica, l'altro di tattica politica, o politicista. Su molti, se non su tutti, i punti chiave, i partiti della maggioranza hanno visioni inconciliabili. Bisognerebbe però dire le aree della maggioranza, perché il partito più forte in Parlamento, il M5S, è a propria volta solcato da divisioni che vanno oltre la guerriglia di corrente e chiamano in causa le opzioni strategiche di fondo. Quadrare il cerchio, in una situazione simile, è spesso nonostante tutto possibile. Ma farcela senza che ciò costi estenuanti trattative, rinvii su rinvii, litigi aspri, lacerazioni palesi al colto e all'inclita non lo è. L'ardua salita sarebbe meno impervia se non ci si mettessero di mezzo i calcoli politici: quelli in base ai quali alcuni leader determinanti in questa maggioranza non hanno alcun interesse nel suo successo. Per Renzi e per Di Maio l'interesse è solo nell'evitare le elezioni, non nel permettere alla maggioranza di fare da incubatrice a un'alleanza stabile tra il Pd e un M5S, che a quel punto sarebbe inevitabilmente in mano alla sinistra interna, dalla quale sarebbero tagliati fuori e che li penalizzerebbe. Anche da questo punto di vista, fatti salvi il pensiero magico e la fede nei miracoli, nulla autorizza a credere che da gennaio in poi le cose andranno diversamente. L'ultima battaglia dell'anno, quella sulle concessioni delle autostrade, è da questo punto di vista estremamente eloquente. Renzi dà battaglia, come aveva già fatto sulla manovra, perché a bisogno di imporre un'immagine del suo nuovo partito alternativa sia al Pd che al M5S ma anche perché il suo progetto politico e sociale è inconciliabile con la linea dei pentastellati sulle concessionarie. Come sull'Ilva o sulle tasse etiche. Ma se il governo Conte 2 non pare in grado di ripartire, nulla vieta che si trascini, come negli ultimi tre mesi, ancora a lungo. La sorte del governo è tanto incerta proprio perché è appesa al calcolo di convenienza di ciascuno dei soggetti in campo, con l'eccezione di LeU, che non ha né la forza né un possibile interesse nel provocare la crisi. Su quel calcolo incideranno troppi elementi per azzardare previsioni: i sondaggi e il test delle regionali interpretati alla luce della scelta tra votare subito per un Parlamento non ancora tagliato o attendere l'entrata in vigore della riforma, le trattative sulla legge elettorale, che quando ci sono di mezzo i calcoli di convenienza sono sempre il versante più a rischio, lo stato dell'economia non solo italiana ma globale. Se, infatti, sul fronte della convenienza sono soprattutto i calcoli di Renzi che potrebbero provocare la crisi, le cose cambierebbero a fronte di una contingenza economica particolarmente negativa. Il Pd, infatti, nonostante gli strepiti ha tutte le intenzioni di provare a reggere l'onda negativa dovuta alle continue polemiche interne a governo a maggioranza. Ma se a quelle polemiche dovesse accompagnarsi la minaccia di arrivare alle urne in fase di crisi economica grave e conclamata non avrebbe più alcun interesse nel sostenere il governo. Se a questo si aggiunge l'implosione progressiva dei 5S, ma anche di Forza Italia, si capisce perché fare previsioni sulla longevità del governo sia impossibile. La sola cosa sulla quale si può invece scommettere che, per poco o per molto tempo, si tratterà di un trascinarsi.