Quando i colleghi della Corte d’Appello di Roma hanno pronunciato la parola assoluzione non è riuscita a trattenere le lacrime. E anche se si trovava a chilometri di distanza, a Milano, dove guida la procura generale dal 2021, Francesca Nanni ha esultato. È anche merito suo se oggi, a 33 anni di distanza dal suo arresto ingiusto, Beniamino Zuncheddu è un uomo libero. Un uomo che ha pagato per un delitto mai commesso, un uomo la cui vita è stata letteralmente sequestrata dallo Stato. Un uomo che Nanni all’epoca della riapertura del processo procuratore generale di Cagliari - non ha mai incontrato e col quale ha parlato, per la prima volta, solo martedì sera, in videocollegamento su Rai 1. «Non avevo bisogno di incontrarlo - spiega oggi al Dubbio -. L’ho conosciuto attraverso le carte. E so che è un uomo di un rigore morale eccezionale».

Procuratrice, come ha maturato la convinzione di trovarsi di fronte ad un uomo innocente?

Mi aveva colpito il fatto che, dopo tanti anni, continuasse a dichiararsi innocente e quindi non potesse godere della liberazione condizionale, per la quale uno dei presupposti è un serio esame di coscienza su quello che è stato il comportamento di reato. Lui, pur avendo praticamente eseguito tutta la pena, continuava a dirsi innocente. Questa è stata la prima cosa che mi ha colpito. E poi a convincermi è stato anche l’avvocato Mauro Trogu, che mi è subito parso molto serio, preciso e tecnico e che mi ha esposto senza enfasi, perché non ce n’è bisogno in queste cose, la vicenda di Zuncheddu. Gli ho detto: avvocato, sentiamoci fra un po’. Ho studiato le carte, ho studiato anche la storia del sequestro di persona che si era concluso nelle stesse zone nello stesso periodo ( il sequestro di Gianni Murgia, ndr) e ad un certo punto mi sono convinta dell’innocenza di questa persona. Ho richiamato l’avvocato, mesi dopo, e gli ho detto: secondo me lei ha ragione, però così stando le cose io dubito che lei riesca a ottenere una revisione.

Perché?

Trogu aveva fatto un buon lavoro, aveva anche rifatto il sopralluogo sul luogo del delitto con delle consulenze molto precise, però io so che le revisioni vengono concesse sulla base di elementi nuovi, temi di prova che non hanno costituito discussione nei precedenti gradi di giudizio. Temevo che ciò che aveva in mano non bastasse. Il mio apporto è stato quello, pensare come raccogliere elementi nuovi. Così ho chiesto ai carabinieri di fare una relazione, in base agli elementi che loro avevano analizzato, e poi abbiamo inviato tutto in procura, che ha disposto la riapertura del procedimento per omicidio. Ipotizzando, come era peraltro assolutamente probabile, la presenza di correi. A quel punto sono state disposte delle intercettazioni ed io ho sentito il testimone oculare per avere dei chiarimenti. Ho visto il suo tormento. E lui lo ha confermato quando, parlando con la moglie in auto, in dialetto strettissimo, ha ammesso che avevamo capito che cosa era successo: lui non aveva visto in volto l’aggressore, gli era stata fatta vedere la fotografia. Questo ha permesso il giudizio di revisione.

Si aspettava che Luigi Pinna, il testimone oculare, ammettesse in aula di aver mentito?

Sinceramente non ci speravo in quella ritrattazione.

Lei ha subito intuito i punti di contatto con il sequestro Murgia. Com’è stato possibile che, 33 anni fa, nessuno percorresse questa pista, peraltro suggerita dalla difesa? Perché non concedere a quest’uomo quantomeno il ragionevole dubbio?

Io ho avuto a disposizione il fascicolo originale. Ho letto le consulenze e tutto quello che aveva raccolto l’avvocato Trogu prima che io venissi investita del caso. E ho letto anche gli atti del sequestro Murgia, per il quale le condanne sono però successive a quella di Zuncheddu. Forse per me è stato naturale applicare un metodo di lavoro che ho mutuato dalla mia esperienza in antimafia: c’è un delitto particolarmente grave, slegato da dinamiche familiari o personali, all’interno di un determinato ambiente, in una determinata zona. Non so come mi sarei comportata al posto dei colleghi. Per me è stata determinante la mia esperienza.

È stato semplice?

Ero convinta che fosse innocente, ma ero anche estremamente preoccupata. Perché una volta che ti convinci che una cosa è andata in un certo modo devi fare tutto quello che è nelle tue possibilità per per dimostrare quella che ritieni essere la verità. Abbiamo passato momenti difficili, anche durante il dibattimento e l’avvocato Trogu mi ha usato l’estrema cortesia di tenermi comunque sempre perfettamente al corrente di quello che succedeva. Ma, appunto, ero molto preoccupata: la revisione è un metodo e deve essere un metodo eccezionale di risoluzione dei casi. L’obiettivo è tendere all’errore zero.

Però di errori ce ne sono e in questo caso parliamo di 33 anni di vita sotto sequestro, una sconfitta per lo Stato. E questo ha riaperto il dibattito sulla responsabilità civile dei magistrati. Lei, come rappresentante dello Stato, come si sente di fronte a questo?

Vede, non è la prima volta che mi capita un processo di revisione: sostenni la riapertura di un caso tanti anni fa ( quello di Daniele Barillà, ndr) e anche in quel caso la mia tesi venne confermata. Ma qui siamo di fronte ad un comportamento che potremmo definire criminale, anche se non potrà mai essere accertato, perché prescritto. Il processo si è concluso con la trasmissione degli atti per falsa testimonianza, ma quel che è emerso è che i giudici che hanno condannato Zuncheddu lo hanno fatto sulla base di risultanze false. Io - ed è un’opinione del tutto personale -, cercando di ridurre i casi di possibile interferenza con le valutazioni dei magistrati, tratterei i reati contro l’amministrazione della giustizia con un particolarissimo rigore, perché vanno a inserirsi su un processo di valutazione delicatissimo, difficilissimo e che può avere delle conseguenze drammatiche. Perché fare i magistrati significa fare un lavoro difficilissimo e bisogna tenere conto di questo. Non si tratta di reati a trattazione prioritaria, io invece li renderei tali, con termini di prescrizione più ampi.

Quali possono essere gli anticorpi per difendere il sistema dagli errori?

Il giusto processo, come lo chiamano adesso. Io preferisco chiamarlo rito accusatorio, introdotto e poi perfezionato nel corso degli anni. Per quella che è la mia visione di pubblico ministero, ritengo che la presenza della difesa, le possibilità di interlocuzione, le possibilità di controllo, di contrasto ci sono. Questa sentenza risale ad un momento in cui il rito accusatorio era stato appena introdotto, forse non del tutto assimilato e poi, ribadisco, c’è stato un comportamento che ha falsato il materiale sul quale si è basata la valutazione del giudice. Un’altra cosa molto importante è, inoltre, che i pm continuino a lavorare raccogliendo elementi anche a favore dell’imputato. Ecco, se mi venisse tolta questa possibilità, non so se riuscirei a continuare a fare il mio lavoro. A prescindere dalle proposte di riforma, anche il sistema attuale mi sembra piuttosto equilibrato, perché abbiamo delle possibilità di Riesame, dove ci sono colleghi molto specializzati: non vedo un’adesione acritica alle tesi del pubblico ministero, così come viene prospettato o come forse c’è stato in passato.

Che idea si è fatta dell’uomo Zuncheddu?

Guardi, io non ci ho mai parlato, non ne avevo bisogno: ho letto tanto su di lui. Ho letto anche i fascicoli che riguardavano il suo comportamento carcerario, tutte le sue carte processuali, in più il suo avvocato mi teneva informata anche sulle sue condizioni psicofisiche generali. Ci siamo visti per la prima volta online ieri sera ( martedì, ndr). E ci siamo detti buonasera. Che cosa posso dire? Mi ha colpito il fatto che, parlando del grande accusatore, ha detto una cosa toccante, cioè che anche lui è una vittima. Che è la stessa conclusione alla quale siamo arrivati, dopo tanto studio, io e il difensore. Lui l’ha detta con una calma e con una lucidità enormi. Mi sembra una persona dal rigore morale eccezionale. Adesso bisogna lasciarlo riposare. Deve metabolizzare la sua storia, la sua vicenda e magari anche riorganizzare la sua vita.

Come si è sentita quando ha appreso della sua assoluzione?

Avevo provato una forte emozione già quando ho saputo della scarcerazione. Non nascondo che sono stata molto soddisfatta. Soprattutto perché è stato difficile.