Le opinioni di un consigliere del CSM sul prossimo referendum costituzionale sono da giorni il terreno di un confronto acceso soprattutto all’interno della magistratura e, poi, nella politica. Tra le toghe sono tanti, infatti, quelli che ritengono che bisognerebbe stare alla larga dalle urne sempre e comunque, anche quando sia in ballo una profonda riscrittura della Costituzione.Le opinioni di un consigliere del CSM sul prossimo referendum costituzionale sono da giorni il terreno di un confronto acceso soprattutto all’interno della magistratura e, poi, nella politica. Tra le toghe sono tanti, infatti, quelli che ritengono che bisognerebbe stare alla larga dalle urne sempre e comunque, anche quando sia in ballo una profonda riscrittura della Costituzione. Qualcuno obietta a costoro che autorevoli magistrati hanno preso parte ad altre competizioni in cui si discuteva di diritti fondamentali e di questioni istituzionali di rilievo (si pensi solo al famoso referendum sulla responsabilità civile) ed invoca i precedenti per non tacere ad ottobre. Mettere un po’ d’ordine non guasta.Primo. E’ vero che, in passato, correnti e singoli magistrati si sono schierati pro o contro certi quesiti referendari, per non dire delle incursioni contro innumerevoli iter parlamentari in materia di giustizia, leggi ad personam, prescrizione e così via.A spanne e in soldoni votare al referendum non è dissimile dall’approvare una legge: in tutti e due i casi si interviene in un percorso legislativo in atto e si ha la possibilità di trasformare le opinioni e le posizioni in voti. Quindi chi vuole che le toghe tacciano sulla riforma costituzionale dovrebbe anche pretendere il silenzio tutte le volte che in Parlamento si parla di diritti, di garanzie, di prescrizione, di carcere, di processi. E’ questo è inaccettabile, punto e basta.Secondo. L’approccio del premier alla (inevitabile) contesa con la magistratura è semplice, ma efficace: le toghe parlino con le sentenze. E’ loro dovere decidere e noi li rispettiamo in questa funzione. Ci mancherebbe.La trappola comunicativa è chiara e ha sortito molti più risultati di quanto si pensi. Il paese comincia a pensare che i giudici chiacchierino troppo e lavorino poco, vedi la riduzione delle ferie; che ci siano più convegni e libri sulla corruzione che processi; che le toghe invochino la prescrizione “lunga” per nascondere il fatto che i processi per malaffare sono molto, molto pochi. Abilmente il premier ricorda sempre i bassissimi numeri dei detenuti per corruzione e se ne lamenta.Terzo. In questa contrapposizione, pare chiaro, si annida uno scontro molto più profondo che punta ad una ricollocazione dell’intera magistratura italiana nello scacchiere istituzionale e mediatico della nazione. Rispetto a questo scenario chi sostiene che i magistrati possano discutere di riforme costituzionali, ma con moderazione esprime un punto di vista tutto sommato inutile che vuole conservare uno status quo ormai in dissoluzione.Se c’è una contesa elettorale ciascuno deve poter esprimere liberamente il proprio pensiero anche con durezza, salvo la diffamazione o l’ingiuria. Se le toghe, alcune toghe, lo vogliono hanno tutto il diritto di esporsi in pubblico come qualunque altro cittadino. Anzi a dire, la verità, la posizione pubblica di questo o quel magistrato è un esercizio di trasparenza molto meno pericoloso per la credibilità della magistratura dei tenebrosi inciuci, delle sussurrate raccomandazioni e delle sottili pressioni di cui lo stesso consigliere del CSM avrebbe parlato nella tormentata intervista.Quarto. E qui la questione si complica. Tutti i magistrati hanno diritto di esporsi nella competizione sul voto referendario o solo alcuni tra loro? Il pubblico ministero, nel nostro ordinamento, non può essere ricusato dall’imputato che lo ritenga parziale. Gode del privilegio dell’essere la “parte” del processo che l’inquisito non può contestare. Però un avviso di garanzia, una fuga di notizie, una perquisizione incide pesantemente sulla vita dei cittadini. Un potere grande che potrebbe giustificare il sacrificio di un piccolo self-restraint in campagna referendaria.I consociati hanno il diritto al silenzio dei propri inquisitori e il conseguente dovere di non sospettarli come contigui agli interessi di quella o di quell’altra fazione. Un equilibrio delicato, ma non impossibile. Nulla vieta a quelle stesse toghe di dismettere le vesti dell’inquirente per assumere quelli del giudice la cui terzietà e indipendenza ha ben altre tutele per i cittadini.E’, comunque, miope pensare di concentrare tutta la discussione guardando all’ombelico delle prerogative dei magistrati (diritto di parola o dovere del silenzio) senza pensare alle preoccupazioni dei cittadini nel vedere, oggi, qualche toga in corsa verso i palchi referendari. Quel «parlino con le sentenze» potrebbe diventare lo slogan di tanti e anche le battaglie sul processo o sulla prescrizione potrebbero vedere la magistratura circondata dal fastidio di molti.