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Tanti sono gli aspetti (e controversi) della così genericamente detta “riforma della giustizia”. Essa viene in primissima attualità sia per la gravità dei suoi quasi cronici problemi, a cominciare dalla lunghezza dei tempi processuali, sia per l’essenzialità dell’obiettivo di forte abbreviazione come condizione dell’ottenimento delle attese risorse europee. Infinite considerazioni mi sono balzate in evidenza – dopo decenni di studio sul campo e più legislature spese come deputato e senatore delle Commissioni giustizia - nello scorrere l’intervento del dott. Edmondo Bruti Liberati sul “Corriere della Sera” del 27 maggio. Riemerge prepotente la filosofia organizzativa dell’accentramento giudiziario, come (indimostrativissima) razionalizzazione, e la spinta verso una nuova falcidie del reticolo giudiziario con lo slogan – mi si consenta, piuttosto semplicistico e suggestivamente ingannevole – del “Tribunale sotto casa che non ci possiamo permettere”. Affermazione questa un po’ retrodatata (ormai solo a fare certificati in tribunale non ci si va più quasi per niente!) ma assai tendenziosa laddove dà per scontato che deve diventare regola permanente la “trattazione a distanza” dei procedimenti, che l’emergenza sanitaria ha imposto come ripiego fin troppo largamente adottato. In proposito, prefigurando ciò l’evaporazione della giurisdizione fondata sul contraddittorio reale e dunque dello stesso ruolo dell’avvocatura, spero torneranno a farsi sentire con forza le Camere Civili e Penali. Premessa: la “geografia giudiziaria” è tra le ultime questioni di cui politici e operatori devono occuparsi, dopo appena dieci anni da una revisione che ha cancellato 220 sezioni di tribunale, 31 tribunali circondariali – molti uffici anche al servizio di città importanti e in ogni caso “ammazzate” nella loro consistenza socioistituzionale – e gran parte degli Uffici del Giudice di Pace. In ogni caso la questione va trattata, con somma delicatezza e abbandonando ogni furia “soppressionistica”, con una sintesi di consapevolezza tecnico-organizzativa del settore e di visione politico-territoriale, doverosa in sé, ma anche consentanea alle linee ispiratrici dell’intervento europeo. L’Europa ci esorta infatti a snellire i procedimenti, penali e ancor più civili. Ma nello stesso tempo ci addita come grandi obiettivi del Recovery la valorizzazione dei territori fin qui marginalizzati, il rilancio vitale delle “aree interne”, l’arricchimento dei servizi reali che promuovono resilienza e un corretto modello di insediamento antropico. Anche confrontando con altri Paesi del continente, l’efficientamento della giustizia si ricerca con semplificazione delle procedure, intensificazione delle conciliazioni, adeguamento della normativa penale ai tempi mutati, impiego anche mobile del personale, affinché non siano cittadini e aziende a “dover inseguire” i soggetti e uffici dispensatori di servizi primari. La miglior Europa non ci chiede affatto di “desertificare” giudiziariamente i territori, se mai auspica buone pratiche sinergiche nei sistemi. Socio-politicamente parlando, ciò può valere per tanti servizi primari. La dolorosa epidemia, per esempio, ci ha fatto riaprire all’improvviso occhi e testa, per capire che, fatti salvi alcuni poli di superiore specialità, una diffusa rete di ospedali dell’emergenza-urgenza e un’ancor più diffusa corolla di “case della salute” sono indispensabili…..Con rispetto della diversa memoria di ciascuno, la legge delega per la revisione delle circoscrizioni, con virtuoso impegno di mediazione tra esigenze tutte giuste, fu fatta per la precisione nel 2011 col ministro della Giustizia Nitto Palma. Poi, coi decreti delegati del settembre 2012, ne fece attuazione il ministro Paola Severino, con tutte le vaste e dolorose soppressioni che ho ricordato. Ogni norma della delega può essere discussa – e sono anche personalmente disposto a dibattito per ricostruirne secondo verità genesi politica e criteri organizzativi – ma quella più sana, lungimirante e razionalizzatrice fu la “prioritaria linea del riequilibrio territoriale, demografico e funzionale”. Il legislatore (su questo fummo praticamente unanimi) non volle soppressioni generali ed ecatombi, come auspicate o pre tese da vari tipi di lobbies professionali accentratrici o “poteri forti” del tutto indifferenti alla sorte delle comunità locali, ma ovunque possibile lo scorporo e decongestionamento delle sedi troppo grandi, cariche, mal governabili e mal controllabili, con accorpamento alle finitime sedi “minori” suscettibili di fluidificare accessibilità e funzionamento, per orientarsi verso dimensioni tendenzialmente medie: tali considerabili non astrattamente, ma per quello che è il reticolo dell’Italia reale, che tutta deve vivere e godere (per dettato costituzionale) di equivalenti possibilità di essere servita. Quindi, temo che il dott. Bruti Liberati ed altri con lui non condividano questa morfologia dell’apparato giudiziario e neanche questa sensibilità sociale per i territori, ma essa torna invece centrale in questo secolo di recupero dei “valori ambientali”, che sono insiti nelle comunità umane altrettanto che nei beni naturalistici. Su questa mia modesta e convinta filosofia trovai molto consenzienti M5S e “Lega”, gran parte di PD-F.I. e FdI, nonché colleghi di quelle che erano al momento Rifondazione Comunista e Italia dei Valori. E non si trattò affatto di mere istanze municipali, perché anzi l’egoismo retrivo risultò quello dei cartelli professionali e delle egemonie economiche che volevano (e vogliono) accentrare le “cose” e gli “interessi” in pochi luoghi e pochissime mani giudiziarie. La riforma, peraltro recente, del 2012 avrà anche omesso (non era in delega) di escogitare soluzioni di compatibilità per qualche sede, ma se ha mancato per difetto non è certo perché non abbia soppresso abbastanza; al contrario, se mai ha sacrificato Circondari che, in ottemperanza della delega, avrebbero dovuto essere ampliati – come si è fatto positivamente, per dirne solo alcuni, con Ivrea, Cassino, Spoleto o Termini Imerese – sgravando in “riequilibrio” i capoluoghi distrettuali o altre sedi finitime troppo oberate. Fermo restando che le verifiche sul campo hanno dimostrato che la virtuosità o l’affanno si ripartiscono equamente tra Tribunali e Corti grandi e piccoli, perché decisive sono le dotazioni ma soprattutto le capacità umane e gestionali! In conclusione, non è proprio il caso di riaprire la “mattanza” di tribunali e procure territoriali, perché bisogna piuttosto ben guarnire quelli usciti dalla riforma del 2011-2012 e anzi se mai ipotizzare il “recupero” di alcuni impropriamente soppressi e che, ampliati, possono migliorare l’assetto giudiziario dei loro distretti. Quanto alle Corti d’Appello, del pari, qualsiasi progetto di revisione deve non banalmente pensare a “tagli” ai danni delle aree meno grandi, ma analogamente assumere come prioritaria la linea del riequilibrio. Ma interventi del genere – beninteso in una futura Legislatura e superati i prioritari temi di “sistema” pesantemente divisivi – non possono certo partire da bozze di nuove leggi delega come quella progettata per il Ministero nel 2016 dalla Commissione Vietti, che enunciava solo criteri ipergenerali e interpretabili a piacimento dal Ministro delegato: come dire (incostituzionale) mano libera nella sostanza, per ulteriormente sopprimere, rimaneggiare ed accorpare, magari manomettendo anche gli interventi più coraggiosi della precedente riforma. Lo spreco delle risorse, nazionali e comunitarie, è dovuto a molti e ben altri fattori – dei quali sarebbe ora di parlare impietosamente – non certo alla “geografia giudiziaria”. Quest’ultima va percepita e trattata, creda pure il dott. Bruti Liberati, da ministri o ministre che siano tecnici nel conoscere come funzionano un tribunale e una procura, ma altrettanto politici da capire che tutto deve ispirarsi a un modello di insediamento antropico diffuso sul territorio. Altrimenti, se la soluzione a problemi tanto complessi fosse nient’altro che la chiusura di tribunali e Corti, davvero basterebbe affidare il Ministero – come ironizza Liberati - al barista di Ceccano! *di Domenico Benedetti Valentini, avvocato