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«È stato un bell'abbraccio da parte dei colleghi che in qualche modo hanno partecipato a questa mia vicenda. Sono stato felice di rivederli». Quando ci risponde al telefono, Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, ha appena terminato il suo intervento all’assemblea annuale dell’Anci. Un intervento inatteso e tempestivo, arrivato poche ore dopo l’assoluzione in Cassazione che ha ribaltato la condanna per abuso d’ufficio rimediata in primo e secondo grado. Una sentenza definitiva grazie alla quale Falcomatà, sospeso da due anni in virtù della legge Severino, può tornare a guidare la sua città a testa alta e portare a termine il suo secondo mandato. Non prima però di essere accolto, con tanto di standing ovation, dalla comunità dei sindaci italiani, guidata dal barese Antonio De Caro, riunita a Genova. «Il presidente De Caro mi ha chiamato subito dopo la sentenza dicendomi: “Domani ti aspetto a Genova”. Non me l'aspettavo, ma ci tenevo a esserci e ho organizzato tutto all'improvviso», racconta il sindaco. «Ho sentito grande affetto e una vicinanza che va ben oltre l'aspetto istituzionale. Siamo una comunità di amministratori e condividiamo anche quelle che sono le emozioni e le vicissitudini di ognuno di noi, tra noi è più facile calarci nelle vicende umane di un sindaco.
Sindaco, si aspettava una sentenza così radicale da parte della Cassazione?
Anche un po' per scaramanzia ho preferito evitare di fare previsioni. Ma fin dall'inizio eravamo sicuri della bontà e della trasparenza della nostra condotta, ho sempre avuto fiducia che prima o poi sarebbe venuta fuori. La Corte di Cassazione ha pienamente verificato la liceità della nostra azione amministrativa. E questo, anche da un punto di vista personale, ti ricompensa di due anni molto duri e molto difficili.
Come è stato osservare per due anni dall'esterno la città che i reggini le avevano chiesto di governare?
Sono stati ventitré mesi di amarezza, nei quali per fortuna non mi è mai mancato il sostegno della mia famiglia, che ha pagato un prezzo importante anche in termini di serenità, né quello della città. Ho continuato a vivere quotidianamente la mia comunità in tutte le sue pieghe. Una pacca sulla spalla, un incoraggiamento o un semplice sorriso erano per me un invito a resistere. E se ho resistito è stato proprio grazie ai cittadini che con fiducia mi chiedevano di continuare a guidare questa città anche per il secondo mandato.
Ha continuato a sentirsi sindaco anche senza fascia tricolore?
In tutti questi mesi ho compreso una differenza fondamentale tra essere sindaco e fare il sindaco. Noi siamo sindaci e ci sentiamo tali a prescindere dalla fascia tricolore. Il peso di quella fascia lo sentiamo addosso anche se non la indossiamo in un determinato momento. Non smetti di percepire come fossero tue tutte le ansie, tutti i bisogni e tutte le aspettative dei cittadini che chiedono a te di tradurle in fatti amministrativi e in una visione di futuro.
Che rapporto ha avuto col suo partito, il Pd, in tutto questo tempo?
Un rapporto molto sereno. Non ho mai pensato che ci fosse un problema con il Pd. Ho partecipato attivamente agli appuntamenti congressuali, continuando a vivere con la mia comunità politica.
Un partito capace di starle accanto?
Sì, non potrei dire diversamente. Quell'abbraccio di oggi con De Caro è la dimostrazione.
Ha sentito la segretaria Schlein dopo l'assoluzione?
Sì, ho sentito lei ma non solo. Molti rappresentanti istituzionali, anche di altri partiti, hanno voluto mostrarmi la loro vicinanza. Perché avere un sindaco, eletto dal popolo, che possa finalmente tornare a rappresentare le istanze di una città è un bene per tutti. Mi ha fatto molto piacere ricevere l'abbraccio anche del ministro dell'Interno Matteo Piantedosi, che ha usato parole capaci di andare oltre l'etichetta istituzionale.
Cosa le hanno insegnato questi due anni? È ancora differibile un intervento legislativo sull'abuso d'ufficio e sulla legge Severino?
Io mi auguro semplicemente che questa mia vicenda possa concludere, più che avviare, una riflessione seria sugli effetti di due leggi non solo su una persona, su un'Amministrazione comunale o su una stagione politica ma su un'intera città.
È normale che una condanna in primo grado comporti l'interruzione della vita democratica come prevede la legge Severino?
Che sia una legge da rivedere in modo radicale lo dice la stessa ex ministra Severino. Non capisco perché in un Paese in cui si è innocenti fino al terzo grado di giudizio una città possa essere privata per quasi due anni del suo sindaco in assenza di sentenze definitive.
Da oggi tornerà a fare il sindaco. Avrà ancora più paura di prima a mettere la firma su un atto dopo due anni di sospensione?
La paura è un sentimento umano, che un sindaco però non può permettersi di provare, perché la paura ti rallenta e rischia di bloccarti e paralizzare l'attività amministrativa. Se una città si ferma regredisce. Lavorerò perché questo possa rappresentare un nuovo inizio sotto tutti i punti di vista, facendo tesoro di questi due anni di riflessione profonda e riallacciando una connessione sentimentale con la città. Parlare adesso di dossier, obiettivi e ordini di priorità sotto il profilo prettamente amministrativo è anche poco rispettoso nei confronti di una comunità. Serve recuperare un rapporto di fiducia prima di tutto.
Come si riallaccia una connessione sentimentale?
Continuando a vivere nelle pieghe della città, nei suoi quartieri, nelle sue scuole, nelle sue associazioni. È lì che c'è il cuore pulsante di cui prendersi cura. Senza questa premessa tutto il resto diventa posticcio, freddo e senz'anima. Non possiamo permettercelo.
Con che spirito rientrerà nel suo ufficio a Palazzo San Giorgio?
È la stessa domanda che mi pongo io dal momento della lettura della sentenza. Non lo so. Sarà senza dubbio un'emozione tornare nel luogo in cui per anni hai dato tutto te stesso. Non sarà di certo un semplice salire le scale, le gambe tremeranno.