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messa alla prova corte costituzionale
Attendiamo l’esito della Consulta che è stata nuovamente invocata per dirimere il “problema strutturale” che l’Italia da 30 anni circa presenta nel suo ordinamento giuridico, vale a dire, la compatibilità tra l’ergastolo ostativo e l’art. 27 della Costituzione che prevede il divieto di pene disumane e la finalità rieducativa della pena. La nostra Consulta già con la sentenza n° 253 del 2019 ha stabilito che, come evidenziato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, l’assenza di collaborazione con la giustizia da parte del detenuto condannato all’ergastolo ostativo non può risolversi in un aggravamento delle modalità di esecuzione della pena e che la presunzione assoluta di permanenza della pericolosità sociale in capo a chi non ha effettuato la scelta collaborativa è incompatibile con la Carta Costituzionale di talchè ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 4 bis l. 354/75 nella parte in cui esclude che il condannato all’ergastolo ostativo, che non abbia collaborato, possa essere ammesso alla fruizione di permessi premio. Tale importante arresto giurisprudenziale segue la giurisprudenza sovranazionale della Corte EDU che ha più volte affermato (Vinter e altri contro Regno Unito; Viola contro Italia) che la collaborazione con la giustizia non può essere ragionevolmente considerata l’unica forma possibile di manifestazione della rottura dei legami criminali poiché vi sono anche altri indici rivelatori da poter/dover considerare, come i progressi trattamentali del condannato ed il suo percorso di reinserimento sociale che non possono essere mortificati perché costituiscono l’essenza della finalità rieducativa della pena, finalità che hanno e devono avere tutte le pene. In presenza di progressi del condannato verso la risocializzazione, la preclusione assoluta all’accesso di strumenti finalizzati al reinserimento sociale, è trattamento inumano e degradante e mortifica l’art. 27 della Costituzione. La Consulta è chiamata a pronunciarsi nelle prossime settimane sul tema in relazione alla liberazione condizionale, causa estintiva della pena che consente di “praticare” all’esterno la risocializzazione che il detenuto ergastolano abbia dimostrato di aver intrapreso in carcere. Appare evidente che il tema è sempre quello della compatibilità della presunzione assoluta di pericolosità sociale in capo a chi non ha effettuato la scelta collaborativa e, pertanto, ci aspettiamo –sinceramente- un esito positivo giacchè sembra ormai un approdo indiscutibile quello per cui la collaborazione non è l’unica forma possibile di manifestazione della rottura dei legami criminali ed infatti l’Avvocatura dello Stato ha sostenuto la necessità che il giudice di sorveglianza abbia la possibilità di verificare le ragioni della mancata collaborazione, scelta non sempre libera. L’Avvocatura dello Stato quindi ha riconosciuto che la presunzione assoluta di pericolosità non può trovare cittadinanza nel nostro ordinamento giuridico. La posizione assunta dalla parte Pubblica è un segnale importante giacchè per circa 30 anni si è valorizzata la legislazione emergenziale ritenendola, con forzature ormai non più proponibili, compatibile con la convenzione dei diritti dell’uomo e con la nostra Costituzione trascurando completamente che l’ergastolo per molti diventava pena incomprimibile e, quindi, disumana e degradante in quanto preclusiva del diritto alla speranza, quella speranza che “inerisce strettamente alla persona umana”. Per 30 anni si è ridimensionato il valore del percorso risocializzante effettuato dai detenuti che non hanno intrapreso la scelta collaborativa poiché tale percorso non aveva uno sbocco realmente risocializzante non potendo nemmeno essere valutato da un giudice. Ebbene, finalmente anche lo Stato ha riconosciuto che il giudice di sorveglianza deve poter valutare questo percorso perché è in esso che potrà individuare in concreto quei segnali di sicuro ravvedimento richiesti dalla Legge e potrà verificare, quindi, le ragioni della “non collaborazione”. Nessuno smantellamento del sistema di contrasto alla criminalità organizzata si è instaurato con il “cambiamento di rotta” espresso dall’Avvocatura dello Stato, come hanno tuonato con chirurgica, puntuale solerzia i soliti professionisti dell’Antimafia bensì la mera, doverosa, tanto attesa applicazione dei principi costituzionali e sovranazionali che, per troppo tempo, hanno ceduto di fronte alle scelte di politica criminale dei Legislatori che, come ha osservato la Corte di Cassazione, “plasmando la disciplina di cui all’art. 4 bis l. 354/1975, hanno trasfigurato in maniera deformata la libertà di non collaborare, che non può essere disconosciuta ad alcun detenuto”. Speriamo quindi che la Consulta tolga un altro mattone al muro dell’ergastolo ostativo e che, in pieno rispetto della Costituzione, legge vigente che l’Avvocatura dello Stato ha il dovere di tutelare, si possa gradualmente ma finalmente eliminare quel “nostro problema strutturale” individuato dalla Corte Edu che merita ed attende già ormai da due anni circa una seria iniziativa riformatrice. avvocato Elena Cimmino, vice-presidente del Carcere Possibile Onlus