Giacomo Ebner è giudice per l'udienza preliminare a Roma. Apprezzato dai colleghi ma anche dagli avvocati, che ricambia. «La loro è una categoria eccezionale, e anche se Calamandrei è citato fin troppo spesso mi permetto di farlo anch'io: l'avvocato che ha dignità qualifica anche la funzione del magistrato». Lo scrive abitualmente anche sui social network. Anche lui però ha qualche remora di fronte all'ipotesi di dare diritto di voto agli avvocati, nei Consigli giudiziari, sulle valutazioni di professionalità dei magistrati. «Andrebbe trovata un'altra soluzione».Perché, dottor Ebner?Perché in un foro come quello di Roma probabilmente il magistrato non sarebbe influenzato dal timore di far perdere una causa all'avvocato che un domani potrebbe giudicarlo. Ma nei piccoli centri un condizionamento potrebbe esserci.Tra i magistrati prevale l'idea che gli avvocati siano generalmente inaffidabili?Non credo. Però è vero che i magistrati, per necessità e forma mentis, tengono molto alla loro autonomia. Il che vuol dire essere piuttosto restii alle aperture verso l'esterno, anche rispetto agli avvocati e al loro peso nei Consigli giudiziari.Lei non cambierebbe le regole, insomma.Dovrebbe essere istituzionalizzato il diritto di tribuna. E non ho problemi a riconoscere che far giudicare i magistrati anche dalla classe forense sia un'ipotesi con diversi punti a favore. Si avrebbe un contributo da una prospettiva diversa, da sensibilità diverse. Però ripeto: se un magistrato sa che un avvocato è anche giudice della sua professionalità può esserne condizionato. Soprattutto nei piccoli centri temo che non siano tutti Falcone e Borsellino.Però le valutazioni sono quasi sempre tarate verso il massimo.Riconosco il problema. Dai Consigli giudiziari escono il più delle volte valutazioni che fanno belli e buoni tutti. Ora forse un meno di prima, ma la questione esiste. Il correttivo però deve essere un altro. Anche perché, sempre eccezion fatta per i distretti maggiori, anche l'avvocato finirebbe per essere generoso con il magistrato, per non inimicarselo troppo. So che ovunque, nella classe forense, si trovano persone di elevatissimo spessore, ma tanti cercano soprattutto di vivere tranquilli.Anche il pm, se siede in un Consiglio giudiziario, potrebbe "condizionare" il collega giudicante: quest'ultimo potrebbe pensarci bene prima di dargli torto in un procedimento, visto che quel pm un domani dovrà giudicarlo.È un'obiezione giusta, molto corretta. Le dico questo: se in udienza mi trovo davanti un pm che siede nel Consiglio giudiziario non me ne importa nulla, però lo noto. Qualche mio collega potrebbe notarlo di più, senza dubbio. Ma allora troviamo dei correttivi specifici su questo aspetto.Il doppio vertice di lunedì con Anm prima e Consiglio nazionale forense poi apre una nuova fase di pari dignità tra magistratura e avvocatura?C'è sicuramente un clima nuovo. Si avverte una generale apertura dei magistrati verso gli avvocati, pur nel rispetto dei ruoli. D'altronde un atteggiamento nuovo è imposto dai fatti.In che senso?I problemi per le insufficienze di organico sono comuni a noi giudici e alle difese, l'errore più grave che si potrebbe commettere sarebbe dividersi anziché lavorare insieme.Nel ddl penale c'è una norma contestata dall'Anm: il pm decida in tre mesi sul rinvio a giudizio o scatta l'avocazione. Il governo ha chiesto a Davigo di fare una controproposta, e non si esclude un ritorno della riforma in commissione. Tre mesi sono veramente troppo pochi?I miei colleghi dicono di sì. Io esercito funzioni giudicanti da sempre e ho meno dimestichezza con le finezze procedurali: fatto sta che il termine viene considerato eccessivamente ridotto. Ma capisco anche la necessità di stabilire tempi precisi, di dare più ritmo al procedimento, ecco.La fiducia dei cittadini nei confronti dei magistrati è in calo?Le rispondo con una battuta: la fiducia è al 50 per cento, e visto che in ogni processo diamo torto a uno e ragione all'altro, mi stupirei di un risultato diverso.