Francesco Di Ciommo, avvocato e ordinario di Diritto civile presso la Luiss “Guido Carli”, di cui è anche Prorettore, è convinto che la digitalizzazione abbia migliorato la qualità del lavoro negli studi legali, ma il processo civile richiede interventi strutturali. «La riforma Cartabia – dice al Dubbio - costituisce solo un primo passo e, a mio avviso, non risulterà sufficiente».

Professor Di Ciommo, il Pct, che vede protagonisti gli avvocati, ha impresso una accelerata nel civile, migliorando pure la qualità del lavoro negli studi legali. È solo una parte dell’ingranaggio?

Il Pct è stata ed è senz’altro una innovazione di grande rilievo per la giustizia civile in Italia. Al netto di qualche appesantimento dovuto al fatto che l’avvocato oggi deve farsi carico di molti adempimenti materiali un tempo curati dal personale di cancelleria, il Pct ha migliorato notevolmente la gestione del fascicolo di causa da parte del magistrato e lo scambio di informazioni, atti e documenti tra le parti. Il che ha avuto un impatto molto positivo sul lavoro e sull’organizzazione degli studi legali. Tuttavia, l’introduzione delle tecnologie di rete per effettuare gli adempimenti processuali, e persino per svolgere le udienze da remoto, non ha sortito effetti importanti sui tempi di svolgimento dei processi. Né forse poteva farlo in quanto a tal fine occorre una seria e profonda riforma del Codice di procedura civile. In questo senso la riforma Cartabia costituisce solo un primo passo e, a mio avviso, non risulterà sufficiente. È un inizio. E come tale va salutato con favore.

La Corte dei Conti ha detto che la digitalizzazione nel civile è molto utile, mentre siamo indietro nel penale. Ancora più utile sarebbe non ingolfare i Tribunali e ricorrere alle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie. Cosa ne pensa?

Il decimo rapporto della Commissione europea per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa ( CEPEJ), pubblicato il 5 ottobre scorso, certifica che, purtroppo, la nostra giustizia civile risulta la più lenta di tutto il vecchio continente. Sul piano squisitamente teorico sono tra i sostenitori delle procedure di risoluzione extragiudiziale delle controversie. Tuttavia, l’esperienza maturata sul campo in questi anni mi induce a ritenere che sia illusorio pensare di poter ridurre sensibilmente il contenzioso civile ricorrendo a sistemi alternativi di risoluzione delle controversie, in particolare modellati alla stregua di quelli sin qui resi operativi in Italia. O meglio, tali sistemi possono funzionare in certi ambiti, ma non in tutti gli altri. Ad esempio, in materia di separazione tra i coniugi e divorzio tali strumenti sono destinati ad avere un certo successo perché, tanto quando la coppia prende atto all’unisono del fallimento del progetto matrimoniale, tanto quando è solo uno dei coniugi a voler interrompere il rapporto, entrambe le parti spesso finiscono, magari dopo un primo periodo di verifica, per desiderare una separazione rapida, in quanto considerata meno dolorosa. In molti altri ambiti, invece, le parti sono nettamente l’una all’altra contrapposte e perseguono interessi inconciliabili. Ovviamente, molto importante per favorire il successo di questi sistemi è anche il contesto culturale e, più in generale, ambientale, che in Italia non aiuta.

Gli avvocati sono i protagonisti nel civile di una “rivoluzione” digitale iniziata da tempo. Ora tocca ai magistrati arrivare più velocemente alle decisioni?

Il decimo rapporto del CEPEJ che citavo pocanzi evidenzia come in Italia i processi civili siano ancora troppo lunghi. Il che relega, in termini di efficienza, il sistema giudiziario italiano agli ultimi posti in Europa. E infatti, per fermarci al contenzioso civile, a fronte di una durata media europea di 237 giorni, in Italia i giudizi di primo grado nel 2010 avevano una durata media di 493 giorni e nel 2020 di 674. Con la conseguenza che, pur avendo registrato negli ultimi dieci anni una riduzione del contenzioso pendente del 33%, a causa del fatto che i tempi di durata dei processi si sono addirittura dilatati, la nostra giustizia civile – come ho già evidenziato – risulta la più lenta del vecchio continente. Con le inevitabili ricadute in termini di grave disagio per famiglie e imprese. E, più in generale, con una drammatica perdita di competitività per il sistema- Paese che viene stimata in un valore tra l’uno e i due punti percentuali di pil. Ciò detto, non c’è dubbio che la gestione del processo, e dunque anche dei tempi di risoluzione del giudizio, sia principalmente nelle mani del giudice. Ma i giudici vanno aiutati introducendo norme processuali che consentano di snellire i procedimenti e accelerare i tempi. Inoltre, occorre aumentare sensibilmente il numero dei magistrati in organico perché anche sotto questo profilo il nostro sistema giudiziario risulta indietro rispetto all’Europa.

Nell’attuale contesto l’Intelligenza Artificiale darà una mano agli operatori del diritto?

L’IA migliorerà senza dubbio l’attività quotidiana di avvocati, periti, giudici e personale di cancelleria, ma non credo che, a breve termine, e dunque nei prossimi cinque o sei anni, la stessa possa concretamente aiutare i magistrati a emettere provvedimenti migliori o anche soltanto a farlo più velocemente. E ciò in quanto l’attività giurisdizionale è essenzialmente interpretativa, tanto rispetto ai fatti, alle prove, alle domande e alle difese delle parti, quanto rispetto alle norme giuridiche. Essa, dunque, coinvolge fattori che sono propriamente umani e che l’IA non è ancora in grado di governare, e forse non governerà mai. Quello che potrà succedere in un orizzonte temporale meno prossimo è impossibile a dirsi visto che lo sviluppo tecnologico riserva in continuazione sorprese. Tuttavia, credo che difficilmente, almeno a breve, si arriverà a una decisione delle controversie di carattere robotico. Dunque, se si vogliono processi più rapidi, oltre a modificare il codice di procedura civile, occorre mettere velocemente a bando più posti per selezionare nuovi bravi magistrati, piuttosto che aspettare che gli algoritmi prendano il posto di questi ultimi.